Lunedì 18 maggio riprenderanno in tutta Italia, nel rispetto delle normative sanitarie, le messe con il popolo dopo oltre due mesi di lockdown. Il divieto delle celebrazioni nei luoghi di culto è stato “solo un esempio delle restrizioni di vasta portata all’esercizio di molti diritti umani e libertà civili in tutto il mondo, determinate dallo sforzo di far sì che la distanza fisica prevenga efficacemente le infezioni” ma, “anche in condizione di lockdown”, la Chiesa, “se davvero è tale, non è mai ‘chiusa'”. Parola di p. Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, che nel quaderno 4078 della rivista in uscita sabato firma una nota intitolata “Pandemia e libertà di culto”. Tra le ragioni di chi impone le limitazioni e i dubbi, invece, di chi vuole esercitare a tutto tondo la propria vita di fede, anche in questa condizione, Spadaro chiarisce che tali restrizioni “sono legali e accettabili e non devono normalmente essere intese come discriminazione religiosa, o addirittura persecuzione. Tuttavia devono avere una base giuridica, essere necessarie, adeguate, ragionevoli e generalmente proporzionate, affinché non si trascurino le esigenze spirituali delle comunità religiose che, con i loro valori spirituali, contribuiscono a garantire la tenuta e la coesione sociale”. Con riferimento alla ripresa delle celebrazioni con il popolo il prossimo 18 maggio, il gesuita conclude: “Per ciò che riguarda le Chiese cristiane, è sempre importante considerare che il culto e l’azione pastorale sono pure vissute, come possibile, anche in condizione di lockdown. La Chiesa, se davvero è tale, non è mai ‘chiusa'”.