Nicaragua: mons. Báez (Managua), “dal governo nessun provvedimento per bloccare il contagio, toccato vertice più drammatico”

“Il governo, invece di gestire la crisi sanitaria prendendo misure che possano cominciare a bloccare il contagio, ha cominciato a promuovere attività con moltitudini di persone che lo favoriscono. Proprio in questa settimana stiamo arrivando al picco del contagio più drammatico nel Paese”. Lo ha detto mons. Silvio José Báez, vescovo ausiliare di Managua, durante una videoconferenza, organizzata da Iscom, sulla situazione della Chiesa cattolica in Nicaragua, dopo le repressioni esercitate su di essa dal governo. “La pandemia nel Paese è stata gestita dal governo in modo irrispettoso nei confronti della gente”, ha aggiunto il presule, che ha lasciato il Nicaragua lo scorso anno su richiesta di Papa Francesco, dopo le minacce di morte ricevute. “Non avrei mai lasciato il Paese. Come pastore, il mio cuore è in mezzo alla gente – ha riferito –. Il Papa, all’inizio del 2019, mi ha chiesto di venire a Roma, senza alcuna missione particolare. Mi disse: ‘Non vorrei un altro vescovo martire nell’America Centrale’. In accordo con lui sono stato in diversi posti, non solo a Roma. Al momento mi trovo a Miami, dove è in esilio la mia famiglia, bloccato dal lockdown per la pandemia”.
Riflettendo sulla situazione attuale in Nicaragua, il vescovo ha ribadito che “il contesto è talmente polarizzato, a livello politico, che, se parla un vescovo, la sua parola viene interpretata in termini politici”. L’auspicio è la realizzazione di “una società dove la pluralità non sia motivo di scontro”. “La Chiesa deve essere sacramento di comunione, deve accompagnare ogni tentativo di dialogo, anche quando sembra difficile. Deve credere in ogni negoziato possibile, senza autocensurarsi. Non deve cedere al silenzio per paura di essere perseguitata”. Tra le altre sfida indicate dal vescovo per il futuro, “la promozione dei laici”. “Non siamo noi vescovi chiamati a svolgere compiti politici. Nel nostro Paese c’è un vuoto di leadership e la gente volta lo sguardo verso di noi, ma non è quello il nostro compito. Ci devono essere cristiani che devono diventare politici. Serve poi un programma pastorale a lunga scadenza alla luce della Dottrina sociale della Chiesa”.

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