Quarantamila mascherine da destinare ai rifugiati dei campi sfollati in Giordania: a cucirle nei prossimi mesi saranno le ragazze dell’atelier “Rafedin – Made by Iraqi Girls”, di Amman in Giordania. Venti ragazze cristiane irachene, costrette a suo tempo a fuggire dallo Stato Islamico e dalla violenza scoppiata nel loro Paese, riparate in Giordania dove hanno ricominciato a vivere grazie a un progetto di moda e sartoria artigianale nato a marzo di 4 anni fa, da un’idea di don Mario Cornioli – “abuna Mario” – sacerdote del Patriarcato latino di Gerusalemme. L’idea, sostenuta all’inizio dai fondi dell’8×1000 della Cei e di Ats Terrasanta, ora si avvale anche del sostegno della Ambasciata francese e dell’Unicef attraverso l’associazione italiana “Habibi Valtiberina” (Hava) riconosciuta come Ong locale dal ministero giordano dello Sviluppo sociale.
E il progetto denominato “Behind the mask” (dietro la maschera) nasce proprio dalla sinergia tra Hava e Unicef che, grazie a fondi destinati al sostegno dei giovani, vuole fornire ai rifugiati nei campi nel Regno Hashemita un dispositivo di protezione dal Covid che altrimenti non potrebbero permettersi. Saranno mascherine in doppio strato lavabili, realizzate con i classici tessuti di foggia mediorientale, presi in Palestina, Giordania e Egitto, nel tipico stile Rafedin. Dal 14 marzo, da quando il Governo giordano ha imposto le prime stringenti misure per far fronte alla diffusione del virus Covid-19, l’ong Hava ha deciso di avviare la produzione di maschere protettive con alcune delle ragazze dell’atelier Rafedin. “Un modo per promuovere uno spirito di resilienza, di consapevolezza crescente durante questo periodo di pandemia e di solidarietà”. Le mascherine, infatti, “sono un dispositivo impossibile da ottenere per i rifugiati visto che in Giordania una mascherina può arrivare a costare l’equivalente di oltre 3 euro, una cifra enorme per loro” affermano dall’ong Hava. “Più accessibili le mascherine monouso che possono arrivare a costare 25 piastre, circa 40 centesimi”. Felici le ragazze dell’atelier, protagoniste del progetto con Unicef.
“Per noi – dicono Hala, 28 anni, e Marina, 21 anni – è un modo per aiutare gli altri così come lo siamo state noi quando siamo arrivate in Giordania”. Le fanno eco Virgin, 46 anni, e Rose, 20 anni: “È una gioia per me lavorare e realizzare mascherine per gli altri rifugiati. Se c’è anche qualcos’altro da fare oltre alle mascherine, vorrei farlo, perché anche noi siamo rifugiati e sappiamo cosa significa. Inoltre vogliamo ringraziare l’Unicef che ci ha dato la possibilità di aiutare altri fratelli e sorelle come noi”.