In Italia si stima vi siano tra le 49.000 e le 52.000 persone senza fissa dimora. Esse sono particolarmente esposte alla pandemia Covid-19: vivono sulla strada o in alloggi precari e sovraffollati dove le misure di distanziamento sociale sono impossibili; presentano spesso più patologie croniche concomitanti; hanno difficoltà di accesso ai servizi sanitari; spesso non hanno accesso regolare ai servizi igienici più essenziali. Tra la popolazione homeless vi sono poi gruppi che, per differenti ragioni, possono essere considerati “vulnerabili tra i vulnerabili”: le persone con età superiore ai 50 anni e/o con patologie croniche, le persone con disagio psichico, i migranti e i rifugiati. In una prospettiva sociale e, prima ancora, di sanità pubblica, la protezione dall’epidemia delle persone più vulnerabili dovrebbe essere tra le massime priorità del governo. “Nonostante ciò, l’Italia accusa un preoccupante ritardo nel proteggere le persone senza dimora dagli effetti potenzialmente devastanti causati da Covid-19 anche nella cosiddetta fase 2”. La denuncia è dell’organizzazione medico-umanitaria Medici per i diritti umani (Medu), che sottolinea la mancanza di “una strategia nazionale coordinata”, di un approccio delle regioni “insufficiente e fortemente disomogeneo”. “Nella gran parte dei casi – osserva Medu –, si affida all’iniziativa di associazioni e organizzazioni del privato sociale più che a strategie globali dei sistemi sanitari regionali”. Al fine di contenere l’epidemia tra le persone più vulnerabili, Medu propone una agenda operativa in 7 punti basata sull’esperienza medico-umanitaria sia su iniziative prese da altri Paesi.