“La Messa celebrata a porte chiuse, nell’assenza fisica dei cristiani, mi fa fare più di una considerazione. Mi domando: cosa c’insegna quella privazione? Cosa possiamo imparare da quell’assenza? Intanto, speriamo che si esca presto da questa condizione; volendo, però, trarre profitto dal frangente, mi dico: forse al Popolo di Dio il digiuno dall’Eucaristia potrà ricordare quanto sia necessario tornare al Signore e come sia importante per la nostra vita ridare tempo a Lui, nutrirsi della Parola e godere della grazia dei Sacramenti e vivere in maniera più viva l’appartenenza alla comunità cristiana”. Lo scrive il vescovo di Ischia, mons. Pietro Lagnese, ai sacerdoti, per la Settimana Santa e in particolare per la giornata di oggi, Giovedì Santo, in cui si fa memoria dell’istituzione del sacerdozio. A “noi ministri sprona a ritrovare il desiderio di porci a servizio della comunione e a riscoprire che la vita, del prete innanzitutto, ha senso soltanto se donata, se spesa per gli altri e con gli altri condivisa, sapendo che per essi il Signore ci ha chiamati e a loro Lui continua ad inviarci”. Il presule mette in guardia da un rischio, “quello dell’assuefazione”. “Quando a noi preti ci prende – spiega -, c’impedisce di apprezzare la presenza del Signore e gustare la gioia che viene dal Risorto. Presi dal vortice dell’organizzazione, abituati a ‘maneggiare’ i sacramenti, diventiamo detentori del mistero. Ripetitori di formule e di riti, perdiamo la grazia della santa meraviglia e non ci sorprende più che Dio si faccia Pane, non ci accorgiamo più che Cristo viene e ci fa dono del Suo Spirito, nuovamente e veramente! Forse celebrare l’Eucarestia da soli, senza la gente, senza chi ci viene ad ascoltare, potrà aiutarci a riscoprire che c’è innanzitutto un Altro che viene: c’è il Signore! Lui non viene meno, mai!”.
Di qui l’invito per questa sera di Giovedì Santo, dopo la celebrazione: “Quando tutto sarà finito, tu, almeno tu, rimani! Non tirarti la porta della chiesa alle spalle. Tu, almeno tu, se puoi, rimani. Rimani con Lui e parlagli; parlagli e digli ‘grazie’: grazie di essere cristiano e prete, di stare lì in quel momento. Parlagli della tua gente, prega per loro e per chi soffre innocentemente e fagli domande: le stesse che ti fanno i tuoi cristiani. Se vuoi, chiedigli perdono e, se ti andrà, piangi pure: non ti vedrà nessuno! E, se anche qualcuno ti vedesse, non te ne vergognare: non è male vedere un prete piangere. Anzi, può far bene: più di tanti discorsi di facciata, più di mille prediche di circostanza”. E aggiunge: “In Gesù che piange scorgo la sovrumana bellezza di un Dio che m’incanta e mi attrae; scorgo non soltanto la manifestazione della sua umanità ma soprattutto la rivelazione della sua divinità che mi chiama a scoprire il Cielo sulla terra e, nell’umano, il divino”. E “a chi domanderà: ‘Ma quest’anno sarà Pasqua?'”, il vescovo invita a rispondere: “Sì, sarà Pasqua! Un’altra. Diversa. Ma sarà Pasqua! Più vera forse, più essenziale”.