Il decreto firmato dai ministri delle Infrastrutture, degli Esteri, dell’Interno e della Sanità che chiude i porti italiani a profughi e migranti a causa dell’emergenza Coronavirus “ha tutta l’aria, in realtà, di essere quasi una misura punitiva rivolta specificamente contro chi ancora va per mare nel tentativo di salvare vite”. Lo afferma oggi don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia, in una lettera appello al governo italiano. Il provvedimento è stato emanato proprio mentre in mare, in attesa della indicazione di un porto di sbarco, c’è la nave Alan Kurdi, della Ong Sea Eye, con 150 profughi tratti in salvo in due distinte operazioni al largo della Libia, in un tratto di mare dove il “porto sicuro più vicino” è senza dubbio Lampedusa. Nelle stesse ore due battelli carichi di migranti sono arrivati con i propri mezzi a Lampedusa e sulle coste del Trapanese mentre altri due, con oltre 150 persone, sono stati segnalati alla deriva da qualche parte nel Mediterraneo. “È la dimostrazione che i flussi in fuga dall’inferno della Libia sono tutt’altro che in diminuzione ed anzi si prospetta un aumento a fronte del prevedibile, ulteriore aggravarsi della già difficilissima situazione”, denuncia don Zerai. Secondo il decreto, gli approdi italiani non assicurerebbero i requisiti necessari per la classificazione e la definizione di “porto sicuro” (place of safety) proprio a causa della pandemia in corso. Secondo don Zerai, a fronte degli arrivi “spontanei” che non possono ovviamente essere bloccati e del fatto che il divieto non vale per le navi italiane, “è di tutta evidenza che il decreto e la conseguente ‘dichiarazione di non sicurezza’ per tutti gli approdi italiani, sono misure di fatto rivolte esclusivamente contro le navi delle Ong, le uniche che ancora operano o intendono operare per interventi di ricerca e soccorso in una realtà sempre più difficile e densa di rischi mortali”. Da ricordare che ai migranti sbarcati vengono applicati le misure precauzionali, come la quarantena, e che la pandemia non riguarda ovviamente soltanto l’Italia. “Nella stessa, identica, difficile situazione si trovano tutti gli altri Stati europei del Mediterraneo – fa notare −. Applicando il principio posto alla base del decreto, i profughi/migranti dovrebbero trovare ovunque le porte chiuse e, dunque, essere respinti in Libia. Mandati a morire, cioè, nell’inferno dal quale sono riusciti a fuggire a prezzo di mille rischi”.