“È proprio una Pasqua strana quella che si avvicina. Stiamo attraversando un momento terribile, al quale non eravamo assolutamente preparati. Abbiamo avuto la chiara dimostrazione della nostra fragilità e del valore effimero delle tante cose di cui ci circondiamo ogni giorno. Nelle nostre comunità stiamo lottando ogni giorno, tentando, con il poco a disposizione, di non perdere di vista il significato del nostro agire, i valori fondanti di ‘Progetto Uomo'”. Lo scrive Luciano Squillaci, presidente della Federazione italiana delle comunità terapeutiche, in una lettera per Pasqua ai centri Fict.
“Sappiamo tutti delle difficoltà a fare comprendere ai nostri ragazzi le restrizioni del momento per non perdere il lavoro educativo sin qui svolto. Conosciamo bene le fatiche dei nostri operatori, spesso costretti a lavorare con dispositivi di fortuna, vincendo le loro paure e quelle dei loro familiari. Abbiamo vivo nel nostro cuore il senso di abbandono da parte delle istituzioni, che continuano a dimenticarsi di noi nei provvedimenti normativi e che non si curano di verificare e condividere gli enormi problemi con i quali siamo costretti a confrontarci. E – aggiunge il presidente – purtroppo sentiamo molto bene l’angoscia per il futuro dei nostri centri, che dovranno affrontare una crisi enorme e che già ora si trovano a doversi confrontare con carenze e deficit importanti”.
Eppure, “tra pochi giorni sarà di nuovo Pasqua. Conosciamo bene il valore della Resurrezione, per averlo vissuto tante volte negli occhi e nei cuori dei nostri ragazzi. Per questo dobbiamo lasciare da parte, almeno per qualche giorno, le fatiche, i problemi e le angosce. Per una volta, e solo una, riapriamo le porte delle nostre comunità per lasciare entrare il Cristo risorto”, l’invito. “Lo dobbiamo – afferma Squillaci – ai nostri ragazzi, a quelli che sono nelle nostre comunità e ai tanti, troppi, che ancora sono in strada e lottano per la loro vita. Lo dobbiamo ai nostri operatori, che stanno andando ben oltre gli orari e le mansioni, testimoniando quotidianamente il significato più profondo dell’essere educatori. Lo dobbiamo al Paese, ai tanti disperati che attendo risposte e anche a chi quelle risposte dovrebbe fornirle, ma rimane ancora sordo al grido del povero. E lo dobbiamo a tutti noi, che ancora oggi, nel mezzo di una pandemia planetaria, ci ostiniamo a ricercare il bello ed il bene in ogni uomo”.
Il presidente conclude: “Nella serenità di quel volto segnato dalla passione, riponiamo la nostra speranza, certi che, per quanto lunga e buia sarà la notte, torneremo infine a vedere l’aurora. E sarà bello riascoltare ancora una volta il grido di liberazione ‘Lazzaro, vieni fuori'”.