“È dal 2002 che i vescovi indagano sugli abusi sessuali da parte del clero e dei religiosi in Giappone. A causa della difficoltà nel comprendere la situazione e nei metodi di indagine, questo rapporto è uscito molto in ritardo, e ora abbiamo deciso di pubblicare i risultati”. Così scrive l’arcivescovo di Nagasaki Mitsuaki Takami, presidente della Conferenza episcopale del Giappone, in una lettera (datata 13 marzo, ma pubblicata ieri sul sito in inglese dei vescovi nipponici) che accompagna la pubblicazione di uno “Studio sugli abusi sessuali su minori da parte di religiosi e sacerdoti” del 2019, anch’esso disponibile in inglese. “Vogliamo cogliere questa opportunità per chiedere perdono alle vittime e a tutte le persone coinvolte”, si legge ancora nella lettera che promette si “continuerà a lavorare per comprendere appieno la realtà” e si farà “il meglio per impedire che queste cose avvengano di nuovo”. A dare l’avvio all’impegno della Chiesa giapponese nell’ambito degli abusi, spiega la premessa del documento pubblicato, è stato il caso esploso a Boston nel 2002: da lì i vescovi giapponesi hanno prodotto un primo documento, un gruppo di lavoro che redigesse linee guida per affrontare i casi in Giappone e un “desk” per la protezione di donne e bambini che ha anche condotto lo studio in questione. Esso però fotografa solo “la punta dell’iceberg” della situazione, spiega la premessa del documento: “È molto probabile che ci siano ancora persone che non riescono a denunciare, e quindi il vero numero di vittime di abusi e violenze sessuali rimane sconosciuto”.
Ciò implica che le diocesi, congregazioni religiose e le società missionarie “di cui questo sondaggio non presenta alcun caso, non dovrebbero trarre la conclusione di non avere casi. Dobbiamo riesaminare se abbiamo un ambiente in cui le vittime possono parlare serenamente, e l’intera Chiesa deve lavorare per sradicare l’abuso e la violenza sessuale”.