“Ci rivolgiamo a Dio quando c’è qualcosa che ci fa male. Quando siamo in difficoltà, improvvisamente tutti sentiamo nascere in noi le domande più grandi e alle quali è più difficile dare risposta. In altre parole, noi vogliamo che Gesù diventi il tipo di re e messia che risolva i nostri problemi: la pace, il lavoro, la vita dei figli o dei genitori, che ci dia un aiuto, insomma, nella difficile situazione in cui ci troviamo. Vogliamo che ci salvi dal Coronavirus, che tutto torni come prima”. Così mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme durante la preghiera, dal santuario del Dominus Flevit della Città Santa, dove per la prima volta ieri non si è svolta la processione delle Palme che raduna ogni anno migliaia di fedeli provenienti da tutte le parrocchie della diocesi e pellegrini di tutto il mondo. “Certo, sappiamo che Gesù risponde alle nostre preghiere e non pretende che le nostre motivazioni siano pure – ha detto l’arcivescovo –. Lui è venuto per cercare e salvare i perduti. Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Tuttavia, allo stesso tempo, Gesù risponde a modo suo. Proprio perché Gesù dice ‘sì’ ai nostri desideri più profondi, dovrà dire ‘no’ ai nostri desideri immediati”. “La gente di Gerusalemme – ha spiegato – voleva un profeta, ma questo profeta avrebbe detto loro che la città era sotto l’imminente giudizio di Dio. Volevano un Messia, ma questi avrebbe avuto il suo trono su una croce pagana. Volevano essere salvati dal male e dall’oppressione, ma Gesù li avrebbe salvati dal Male in tutta la sua profondità, non solo dal male dell’occupazione romana e dallo sfruttamento da parte dei ricchi”. Per mons. Pizzaballa, “la storia della grande entrata a Gerusalemme è una lezione sulla discrepanza tra le nostre aspettative e la risposta di Dio”. “Le folle saranno deluse, perché Gesù non risponderà alle loro attese di salvezza immediata. Nel profondo, però, non sarà così: l’ingresso di Gesù a Gerusalemme è davvero il momento in cui la salvezza sta nascendo. Gli ‘Osanna’ – ha sottolineato l’amministratore apostolico – erano giustificati, anche se non per i motivi che avevano supposto i gerosolimitani. Imparare questa lezione è fare un grande passo verso la vera fede cristiana”. Lo stesso è per noi oggi, “delusi, perché le nostre preghiere non sono ascoltate, le nostre attese restano senza apparente risposta. Sembra che Dio non ci ascolti. Riconosciamolo: siamo ancora lontani da questa fede semplice e pura, la fede dei poveri. Vorremmo, vogliamo che la nostra vita cambi, qui ed ora, non in un generico futuro o nell’aldilà. Vogliamo un Dio onnipotente e forte, vogliamo avere fede in un Dio che ci dia certezze e sicurezza. Che ci tranquillizzi in questo mare di paure e incertezze in cui ci troviamo ora”. Il Vangelo, tuttavia, ha ribadito mons. Pizzaballa, “ci dice che la fede cristiana è fondata sulla speranza e sull’amore, non sulla certezza. Lui non risolverà tutti i nostri problemi, non ci darà tutte le certezze di cui la nostra natura umana ha bisogno, ma non ci lascerà soli. Sappiamo che ci ama e chiediamo a Lui la grazia di comprendere di cosa abbiamo davvero bisogno e la forza necessaria per portare la nostra Croce con il Suo stesso, fecondo amore”.