“Se guardiamo al passato, l’immagine che abbiamo di fronte è quella dell’Italia uscita dalla II Guerra mondiale: un Paese prostrato e sconfitto che ritrovava però la sua unità intorno alla Carta Costituzionale per iniziare la ricostruzione. Anche oggi abbiamo bisogno di ripartire dalla Costituzione, proprio dalle sue righe iniziali: è il legame con il lavoro che fonda l’Italia, che dà una forma alla nostra vita quotidiana personale e collettiva”. Lo afferma Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli, alla vigilia del 1° maggio. “La Festa dei lavoratori – rilevano le Acli in una nota – cade quest’anno in una situazione drammatica per il nostro Paese. All’emergenza sanitaria, scandita dai numeri dei morti e dei ricoverati, si sta sommando l’emergenza sociale con centinaia di migliaia di imprese e attività ferme, milioni di lavoratori in cassa integrazione, disoccupati e, soprattutto, nuovi poveri”.
Per progettare il futuro del Paese, “va fatto un investimento vero sulla scuola e sulla formazione, perché lavoreremo in un contesto mutato e ancora condizionato dall’esistenza del virus”.
Secondo Filippo Diaco, presidente delle Acli di Bologna, il lockdown “ci ha mostrato tutti i limiti del ‘lavoro da casa’, che non è un reale smart working”. “Le più penalizzate – prosegue – sono le donne, che non possono più contare sul welfare familistico offerto dai nonni, che si vedono rimproverare un calo di produttività fino al 35% (dato del World Economic Forum), dovendo pensare alla famiglia, alla didattica online dei figli, al proprio lavoro. Si rischia, per esse, già penalizzate nel mondo del lavoro, un salto indietro di 70 anni”. Pare che coloro che torneranno “al lavoro il 4 maggio saranno al 75% uomini: è un dato forse scontato in queste circostanze, ma che spaventa”, osserva Diaco, sottolineando che “le tutele devono guardare con attenzione ai più deboli e fragili”.