Dopo giorni di disagi, proteste e incertezze, è stato trovato un accordo tra le autorità politiche per dare soluzione in Cile alla questione dei 770 migranti boliviani (tra cui molte donne e bambini), alcuni dei quali si erano inizialmente accampati, in territorio desertico, ai confini con il loro Paese d’origine, che ha rifiutato loro l’ingresso temendo un propagarsi del contagio di Covid-19. La maggioranza, negli ultimi giorni, si trovava a Santiago, sotto l’ospitalità della parrocchia italiana. Le 770 persone vivranno una quarantena di 14 giorni nella città di Iquique, e potranno poi rientrare in Bolivia
Ad adoperarsi per la soluzione la rete Clamor, che riunisce le principali organizzazioni cilene che operano per i migranti, come l’Istituto cattolico cileno per le migrazioni (Incami), l’arcidiocesi di Santiago, la Pastorale sociale, la Pastorale della mobilità umana, la Caritas, il Servizio gesuita ai migranti. Sul sito della Conferenza episcopale cilena, il vicepresidente dell’Incami, Lauro Bocchi, conferma l’accordo: “il primo gruppo si sta già spostando nel nord del Paese. Si è trattato di un’esperienza molto dura e coinvolgente, ci sono donne, bambini, una persona malata di cancro”. La Rete Clamor coordinerà l’assistenza e gli aiuti per queste persone, garantendo appoggio alimentare, sanitario e giuridico.