Coronavirus Covid-19: mons. Castellucci (Modena e Carpi) su Dpcm Fase 2, “i beni spirituali sono il cuore del servizio”

“Come cattolici, non abbiamo alcuna soluzione pronta: non è certo il tempo di ricette, né tantomeno di polemiche; è per tutti il tempo dell’ascolto e della prossimità. Le nostre comunità diocesane in questi mesi sono invitate a purificarsi, a guardarsi bene dentro, a snellirsi, a ‘igienizzarsi’ anche dal punto di vista pastorale, ammettendo dei limiti (ad esempio nella presentazione dell’immagine di Dio e nella predicazione della vita eterna) e cercando i modi più adeguati per essere fedeli al Vangelo e, quindi, agli uomini di oggi. Stiamo portando avanti in queste settimane, nelle due diocesi, la consultazione dei ministri e stiamo per avviare l’ascolto di tutto il popolo di Dio, per lasciarci provocare e rinnovare da questa faticosa esperienza di pandemia”. Lo scrive mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola e amministratore apostolico di Carpi, in vista della Fase 2 dell’emergenza coronavirus, in una lettera ai sindaci, ringraziandoli “per l’impegno intenso” espresso “a tutti i livelli, sia nel rapporto con le altre istituzioni, sia nella relazione attenta con i cittadini”.
“La ‘fase due’ – che prevedibilmente durerà fino alla pratica generalizzata del vaccino – non può essere portata avanti con disposizioni decise unicamente al centro, ma deve avvalersi di voci della società civile, della quale voi siete tra i migliori ascoltatori e interpreti – sottolinea il presule -. La ‘fase due’ non può essere impostata come se si trattasse di allentare dei pezzi di corda, di concedere delle piccole aperture a singhiozzo, di allargare le maglie a malincuore; può essere efficace solo se concertata insieme ai rappresentanti della base sociale”. Per quanto riguarda come Chiesa, “non rivendichiamo l’occupazione di spazi o particolari prerogative, ma crediamo di poter continuare ad offrire un servizio alle persone”. E rispetto al Dpcm del 26 aprile “c’è solo il disappunto unanime per quella che appare una sottovalutazione delle potenzialità delle nostre comunità e una visione antropologica limitata ad una dimensione”.
I beni spirituali “per noi cristiani non sono un contorno eventuale e facoltativo al servizio, ma ne sono il cuore. L’esperienza dei beni spirituali motiva l’impegno per la cura dei beni relazionali; e dentro la relazione stessa con le persone emerge il servizio che si esprime nell’aiuto anche attraverso i beni materiali. Tutto è connesso”, precisa il presule chiedendo ai sindaci “null’altro che di appoggiare questa graduale ripresa nella ‘fase due’, custodendo – come già fate e ve ne sono grato – la particolare natura della comunità cristiana, perché possa continuare ad essere uno dei soggetti che concorrono all’edificazione del bene comune, un soggetto sociale che vive di una dinamica interiore propria e specifica”.

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