“Mi avvicino in punta di piedi. Condivido con loro la vita; li ascolto e li accolgo nella mia vita. Cerco di eliminare la distanza e di alleviare la profonda solitudine che si portano dentro, la disperazione. Si sentono soli e hanno bisogno di cose materiali e spirituali. Chiedono della loro famiglia e cercano conforto, preghiera e una benedizione. Io considero i malati di Covid i miei signori e padroni, come diceva San Vincenzo de’ Paoli. Io sono solo un servo inutile” e “li avvicino con profondo rispetto e amore”.
In un’intervista al Sir don Luca Casarosa, responsabile della cappellania del Nuovo Ospedale Santa Chiara di Pisa Cisanello, in questi mesi destinato al padiglione dei pazienti con coronavirus, racconta la sua quotidianità: “una vita dedicata ai malati perché in loro ho scoperto il volto di Cristo”. “Li porto a dare un senso a quello che stanno vivendo – prosegue – e chiedo al Signore di donare loro la guarigione ma anche la fede. Anche la malattia può essere vissuta come offerta per l’apertura del cuore”. Per don Luca il cappellano è al tempo stesso Cireneo e Veronica: “aiuta a portare la croce” e “asciuga il volto stanco, sudato e sanguinante di Gesù. Quanti volti ho asciugato! Volti che porto ogni giorno nella preghiera e nella messa”. Di fronte ai numerosi cappellani ammalatisi, alcuni dei quali purtroppo deceduti, don Luca ammette la paura: “Mi tremano le gambe perché il rischio del contagio è fortissimo, ma prendo tutte le precauzioni possibili andando dai malati vestito con la tuta bianca sulla quale mi hanno messo una croce rossa e la scritta ‘don Luca’. Sono ben protetto” però “nella vita bisogna anche saper rischiare. Gesù come si sarebbe comportato?”.