L’incredulità degli Apostoli e la “strategia” di Gesù per “renderli capaci di riconoscerlo e, quindi, capaci di entrare in una relazione nuova con Lui”: è il nodo centrale della riflessione dell’amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, che prende spunto dal passo del Vangelo di domenica 26 aprile, i discepoli di Emmaus. “La risurrezione – afferma l’arcivescovo – si compie completamente, infatti, non solo quando Gesù esce vivo dal sepolcro, ma quando, vivo, rientra nella vita dei suoi, quando, in modo definitivo, è di nuovo il cuore della vita dei singoli credenti e delle loro comunità”. Gli occhi dei discepoli di Emmaus “sono impediti perché – spiega mons. Pizzaballa – la loro intelligenza delle cose accadute arriva solo fino alla morte, non è capace di andare oltre, alla Resurrezione. Non si aspettano più nulla e pensano che nulla possa più accadere”. L’intervento di Gesù è “restituire ai due discepoli la memoria che avevano perduto, la memoria della Scrittura. È questa memoria che rende possibile rileggere gli stessi avvenimenti in una luce nuova, la luce che ristabilisce il nesso tra gli eventi e la storia della salvezza, il disegno di Dio. Non è un’operazione intellettuale, ma è qualcosa che si risveglia nel cuore, come una nebbia che pian piano svanisce, e restituisce lo spazio alla luce e al calore. Il riconoscimento del Risorto è graduale e non accade, in questo caso, senza che i discepoli lo desiderino, senza che lo chiedano”. “Appena lo riconoscono, Gesù sparisce dalla loro vista. Potremmo dire – aggiunge mons. Pizzaballa – che Gesù ha ottenuto il suo scopo, quello di donare ai suoi uno sguardo nuovo, capace di vederlo dentro la vita, dentro la storia. Quando Gesù scompare, ricompare la comunità: i due di Emmaus fanno di corsa ritorno a Gerusalemme, nella comunità dei discepoli, che si ricostituisce a partire dalla comune esperienza dell’aver incontrato Colui che è davvero vivo e che è presente nella vita dei suoi”.