“Solo un’azione congiunta e sollecita da parte di Israele, dell’Autorità palestinese, dell’Onu e dell’Oms, in parte già intrapresa, può scongiurare una diffusione devastante dell’epidemia” nella Striscia di Gaza. È quanto afferma il Cespi (Centro studi di politica internazionale), in un focus dedicato alla pandemia di Covid-19 in Medio Oriente con particolare riferimento a Israele e Cisgiordania. “Fortemente distanti per reddito pro capite, grado di sviluppo civile ed economico, qualità dei sistemi sanitari, strutture di governance” israeliani e palestinesi sono accomunati dal contagio: secondo le statistiche disponibili a oggi, quasi 13.000 casi in Israele, circa 300 nella Cisgiordania, appena 15 nella striscia di Gaza. Nel complesso, si legge nel report del Cespi, la cooperazione fra le autorità israeliane e l’Autorità nazionale palestinese è stata efficace nel limitare il contagio fra i palestinesi: anche a Gerusalemme Est e nei campi profughi che la costellano, i cui abitanti palestinesi hanno lo status di “residenti” in Israele e non dipendono quindi in alcun modo dall’Anp e dove gli ospedali sono scarsamente attrezzati nel contrasto al virus, l’infezione non si è estesa anche per l’azione coesa di Ong israelo-palestinesi che offrono cibo e materiale di protezione. Ma sono le condizioni nella striscia di Gaza a destare le preoccupazioni maggiori: “Densità demografica, scarsità di acqua potabile, penuria di energia, disoccupazione e povertà, un sistema sanitario fragile, il blocco sul transito di persone e materiali da Israele e dall’Egitto rendono le condizioni in loco molto difficili, potenzialmente catastrofiche”. Gli ospedali, sottolinea il Cespi, “mancano gravemente di dispositivi di protezione e di kit per i test su infetti e sospetti. La prossimità del Ramadan con l’aggregazione familiare e sociale che lo caratterizza è un ulteriore motivo di preoccupazione”. “Israele, per le obbligazioni imposte dal diritto internazionale, – afferma il Cespi – ha consentito in qualche misura il transito da Israele stesso o dalla Cisgiordania, attraverso il passaggio sul territorio israeliano, da parte di organizzazioni internazionali e Ong anche israeliane – fra le più attive ‘Medici per i diritti umani’ (Phr) – che possano assistere gli abitanti della Striscia”. “La comunanza forzata imposta dall’epidemia – è l’auspicio del Cespi – potrà forse alterare in qualche misura la frattura che divide i due popoli, l’immagine manichea dell’altro sedimentata in ciascuno di essi dall’asprezza del conflitto. La violenza, i lutti, le sofferenze della propria gente tendono a ottundere la sensibilità alle sofferenze degli altri, impediscono in molti israeliani la comprensione e compassione per i palestinesi, per i loro diritti negati di popolo. Dei palestinesi si vede solo la minaccia terroristica, il nemico ingrato e irriducibile. Un meccanismo analogo agisce fra questi ultimi: gli israeliani sono percepiti come ‘i soldati occupanti’, una straripante e monolitica potenza bellica, e non una società complessa, multiforme e contraddittoria”.