“Che cosa c’è dopo la morte? Alla fine c’è il nulla? A queste domande radicali può rispondere solo Dio, mediante una rivelazione. Dio è un rifugio sicuro anche di fronte all’ineluttabile”: è ruotato intorno a questa riflessione il momento di meditazione dopo il rosario guidato, ieri sera in diretta social, dal vescovo di Rieti, mons. Domenico Pompili. Un appuntamento fisso, questo del rosario, voluto dal vescovo e che ha preso il via lo scorso 11 marzo, anticipato ogni sera alle 21 dal suono delle campane per invitare le famiglie e i singoli alla recita. Dalla cappella della Madonna del Popolo in cattedrale, mons. Pompili ha posto in relazione il popolo eletto, Israele, con l’Egitto. Il primo, ha spiegato, “a differenza dell’Egitto, non ebbe mai alcun culto dei morti. Gli egiziani si occupavano della morte con la costruzione delle piramidi per i re e i giganteschi monumenti funebri per alti dignitari, con la costruzione di sarcofagi, libri dei morti, con la pratica di sacrifici per i defunti e la celebrazione di riti funebri. Israele, al contrario, non vuol sapere mai nulla di un ‘beato al di là’ e per questa ragione i testi del Primo Testamento si interessano esclusivamente all’aldiquà”. La presa di distanza dall’aldilà, in realtà, ha proseguito mons. Pompili, “si salda per Israele alla convinzione che il suo Dio è un Dio per questa vita, che Egli vuole questo mondo. Accade, però, che nei Salmi si faccia strada un fenomeno che anticipa la successiva fede nella resurrezione e, cioè, la persuasione che Dio è un rifugio sicuro anche di fronte all’ineluttabile. Così verso la fine del Primo Testamento è chiaro che se Dio ama la vita è per sempre. L’amore, infatti, non ammette condizioni di sorta”, come si legge nel Cantico dei Cantici.