Cresce l’allarme per il contagio da coronavirus nella Regione amazzonica brasiliana. Lo Stato brasiliano di Amazonas, infatti, conta ormai quasi 2mila contagi e oltre 160 decessi, in gran parte nella capitale, Manaus. Ma si tratta di numeri in grande crescita, negli ultimi giorni. L’isolamento sociale delle popolazioni indigene fa sì che coloro che vivono in mezzo alla foresta amazzonica siano per ora stati toccati in modo solo episodico dal contagio. Ma si stratta comunque di casi preoccupanti, come il decesso di una persona di 67 anni, di etnia sateré mawé, avvenuta nella città di Maués, a circa 250 chilometri da Manaus. Discorso diverso per la metropoli che sorge alla confluenza del Rio delle Amazzoni con il Rio Negro, dove infuriano le polemiche per la mancata apertura, per vari giorni, del nuovo ospedale da 400 posti allestito in grande fretta per far fronte all’emergenza. Solo nel fine settimana la struttura è stata aperta, dopo che erano invece iniziati i lavori per scavare nuove fosse in una parte del cimitero cittadino.
“Qui i numeri aumentano – afferma da Manaus don Roberto Bovolenta, missionario fidei donum della diocesi di Treviso –. Ci sono state polemiche a non finire per l’ospedale da 400 posti voluto dal governatore, rimasto a lungo chiuso, e per i centri medici di campagna, voluti dal sindaco e gestiti dalla Samel, un’impresa privata. Stanno allestendo dei container frigo all’ospedale Joao Lucio per la gestione dei cadaveri, sono girati video con morti nei sacchi vicino ai vivi nelle stesse stanze e corsie. E un altro video mostra una parte del cimitero del Tarumá, il più grande e popolare di Manaus, dove stanno preparando fosse per i morti. Il sindaco ha cancellato tutti gli eventi fino a tutto il mese di giugno, periodo nel quale si tengono delle partecipatissime e tradizionali feste popolari”.
L’arcivescovo di Manaus, dom Ulrich Steiner, in una nota dello scorso 16 aprile, ha prorogato di un altro mese, fino al 19 maggio le misure restrittive per le celebrazioni, che restano senza fedeli. “La pandemia aumenta la nostra fede in Dio. Momenti di sofferenza e privazione ci avvicinano a Dio, chiarendo le ragioni della nostra fede. Non lasciamoci derubare la speranza”, scrive l’arcivescovo, il quale specifica che le prescrizioni hanno come priorità la custodia del “dono della vita”.