“Rifiutando di conformarsi al meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale, la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica ceca sono venute meno agli obblighi ad esse incombenti in forza del diritto dell’Unione”: è chiara la sentenza emessa dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea. “Tali Stati membri – spiega una nota – non possono invocare né le loro responsabilità in materia di mantenimento dell’ordine pubblico e di salvaguardia della sicurezza interna né il presunto malfunzionamento del meccanismo di ricollocazione per sottrarsi all’esecuzione di tale meccanismo”. La Corte ha dunque accolto i ricorsi per inadempimento presentati dalla Commissione “contro questi tre Stati membri, diretti a far dichiarare che, non avendo indicato a intervalli regolari, e almeno ogni tre mesi, un numero adeguato di richiedenti protezione internazionale che essi erano in grado di ricollocare rapidamente nel loro rispettivo territorio e non avendo, di conseguenza, ottemperato ai loro ulteriori obblighi di ricollocazione, tali Stati membri erano venuti meno agli obblighi ad essi incombenti in forza del diritto dell’Unione”. Da un lato, la Corte ha riscontrato l’esistenza di un inadempimento, da parte dei tre Stati membri interessati, di una decisione che il Consiglio aveva adottato ai fini della ricollocazione, su base obbligatoria, dalla Grecia e dall’Italia, di 120mila richiedenti protezione internazionale verso gli altri Stati membri dell’Unione. Dall’altro, la Corte ha constatato che la Polonia e la Repubblica ceca “erano altresì venute meno agli obblighi ad esse incombenti in forza di una decisione anteriore che il Consiglio aveva adottato ai fini della ricollocazione, su base volontaria, dalla Grecia e dall’Italia, di 40mila richiedenti protezione internazionale verso gli altri Stati membri dell’Unione”. L’Ungheria, invece, non era vincolata dalle misure di ricollocazione previste da quest’ultima decisione.
Nel settembre 2015, tenuto conto della situazione di emergenza dovuta all’arrivo dei cittadini di Paesi terzi in Grecia e in Italia, il Consiglio aveva adottato le decisioni di ricollocazione. In applicazione di tali decisioni, nel dicembre 2015, la Polonia aveva indicato di essere in grado di ricollocare rapidamente nel suo territorio 100 persone. Essa non aveva tuttavia proceduto a tali ricollocazioni e non aveva assunto nessun successivo impegno di ricollocazione. L’Ungheria, invece, non aveva in alcun momento indicato un numero di persone che essa era in grado di ricollocare nel suo territorio in applicazione della decisione di ricollocazione che la vincolava e non aveva proceduto a nessuna ricollocazione. Infine, nel febbraio e nel maggio 2016, la Repubblica ceca aveva indicato, in applicazione delle decisioni di ricollocazione, un numero di 50 persone che essa era in grado di ricollocare nel suo territorio. Dodici persone erano state effettivamente ricollocate dalla Grecia, ma la Repubblica ceca non aveva più assunto nessun successivo impegno di ricollocazione. Le argomentazioni giuridiche avanzate da Commissione e Stati membri e le risposte giunte con l’odierna sentenza sono piuttosto complesse, ma resta il giudizio definitivo rispetto al fatto che Polonia, Ungheria e Repubblica ceca avrebbero dovuto aiutare Italia e Grecia in un momento drammatico e non l’avevano fatto.