Luis Sepúlveda: Dante Liano (scrittore guatemalteco), “un amico e un grande narratore. La sua era un’idea cristiana di solidarietà”

“Ho avuto una reazione di grande sconforto e dolore, per me Luis Sepúlveda non era solo un grande scrittore, ma una persona che conoscevo personalmente, posso dire che eravamo amici. Diverse volte l’ho ospitato all’Università Cattolica e sempre aveva entusiasmato gli studenti”. A parlare così, al Sir, del grande autore cileno morto per coronavirus è Dante Liano, guatemalteco di origine, uno dei più grandi scrittori centroamericani contemporanei, critico letterario e docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Lingua e letterature ispano-americane. “Sepúlveda era uno che vive la vita per raccontarla – prosegue lo scrittore –, uno di quegli autori che non si limita alla semplice letteratura, al lavoro intellettuale. Era uno scrittore che definirei ‘vitale’, e in questo era molto latinoamericano, la sua vita è la sua letteratura, come per esempio accaduto a García Márquez o a Hemingway. Inoltre – e anche in questo era molto latinoamericano – ha sempre abbracciato la causa dei perdenti, degli abbandonati dal sistema, ha sempre cercato di portare dentro la storia coloro dei quali la storia solitamente non vuole occuparsi. Come altri grandi romanzieri, come Hugo o Zola, o come Pablo Neruda, ha portato nelle sue opere non solo se stesso ma anche le moltitudini”. Diano, inoltre, ricorda alcune sue caratteristiche narrative: “Un grande narratore, lo si coglieva sia leggendolo che ascoltandolo. Era spontaneo, nella scrittura e nell’eloquio, un creatore, inventore di storie. Ne nascono pochi così. È una grande perdita per tutta la letteratura e in particolare per quella ispano-americana”.
Un rapporto delicato, quello di Sepúlveda, con il suo continente d’origine, quasi sempre guardato da lontano, da residente in Europa. “Una condizione comune a molti scrittori latinoamericani – ricorda Diano –, per due motivi: per poter lavorare nel modo migliore, ma soprattutto, molto spesso, per motivi politici. È evidente che Sepúlveda fu costretto ad abbandonare il Cile durante la dittatura di Pinochet. Lui fu poi un artista nomade, ha sostenuto il sandinismo in Nicaragua, ha appoggiato la causa ambientalista. Era una persona che desiderava un mondo migliore”. Lo scrittore guatemalteco parte proprio da qui per parlare, infine, del rapporto di Sepúlveda con il cristianesimo: “Non era un grande frequentatore di chiesa, ma non dobbiamo dimenticare che l’uomo latinoamericano ha strutturalmente una visione religiosa e cristiana. Luis ha tantissimi punti di contatto, in particolare, con il primo Papa latinoamericano; come Francesco privilegia i poveri, gli esclusi, l’ambiente. Soprattutto, crede nella solidarietà. Comunità e solidarietà sono le caratteristiche del cattolicesimo rispetto all’avanzata del pentecostalismo e alla sua teologia della prosperità, del successo e della ricchezza. In questo primato della solidarietà Sepúlveda era vicino all’antropologia cristiana”.

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