“Lo stile di Dio è quello di visitare, di entrare nella vita, di portare vita nuova. Il Risorto visita anche quando l’uomo non si aspetta più nulla, quando pensa che non può più accadere niente di nuovo”. Parte da questa riflessione la meditazione di mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, sul Vangelo della seconda domenica di Pasqua, la domenica in Albis, che propone l’apparizione di Gesù ai discepoli chiusi nel cenacolo e l’incredulità di Tommaso. Spiega mons. Pizzaballa: “Proprio come prima della sua passione Gesù era solito incontrare le persone nella concretezza del proprio corpo – toccando e facendosi toccare, accarezzando, abbracciando… – così a Tommaso incredulo Gesù offre il proprio corpo da toccare, da vedere, da amare. Come attraverso il proprio corpo guariva le ferite della malattia, così guarisce le ferite di Tommaso, la sua incredulità”. “Si tratta di un ‘toccare’ nuovo, di fare esperienza dell’incontro con Gesù in un modo diverso rispetto a quanto erano abituati prima della Pasqua – afferma l’arcivescovo -: Gesù chiede di partire da una fede rinnovata, capace di non fermarsi al Suo corpo crocifisso, di imparare a toccare il Corpo ecclesiale e spirituale del Signore”. Per mons. Pizzaballa è “una chiamata ad un rapporto di fede” che ha lo scopo di “far uscire gli apostoli dal loro sepolcro, dal loro guscio, dalle loro paure, dalla loro disperazione. Saranno così capaci a loro volta di visitare, di raggiungere gli uomini là dove sono, nelle loro situazioni, e fare quello che Gesù ha fatto con loro, ovvero aprire gli occhi ad una nuova esperienza, far entrare un po’ di luce. In questo modo quella piccola Chiesa è stata capace di toccare, a sua volta, le piaghe dei poveri e dei crocifissi di quel tempo e di tutti i tempi, di guarire, così, tanti corpi ammalati di solitudine, di isolamento, di paura”. Un Vangelo “quanto mai attuale”, conclude mons. Pizzaballa, “perché da una parte siamo segnati dalla pesante esperienza di non poterci toccare, stringere la mano, abbracciare. Dall’altra, siamo forse chiamati a ‘toccare’ in modo nuovo, più profondo, a partire dalla comune esperienza del Signore che ci visita dentro le nostre situazioni di vita, tocca le nostre ferite, ci apre ad una coscienza di noi stessi come parte di un unico Corpo”.