“La carità può davvero iniziare a casa. Ma la casa non è certo dove dovrebbe finire, specialmente per i cristiani, e la Pasqua è un periodo di riflessione e rinnovamento che invita ognuno di noi a porsi una domanda fondamentale: desideriamo avere un cuore di carne o un cuore di pietra?”: è un passaggio della riflessione apparsa oggi sul quotidiano “The times of Malta” a firma dell’arcivescovo Charles Scicluna. Dopo aver descritto il Covid-19 come “la nostra croce”, lo sconvolgimento che ha portato, le ferite che sta lasciando, il dolore anche personale dell’arcivescovo di aver dovuto “celebrare la Pasqua in una cappella praticamente vuota”, mons. Scicluna scrive che “se affermiamo di avere un cuore di carne, non possiamo dimenticare i rifugiati affollati nei centri a Malta, dove c’è un focolaio di coronavirus”. E ancora “se sosteniamo di avere un cuore di carne, non possiamo dimenticare gli altri esseri umani – tra cui dei bambini – che sono in difficoltà nel mare intorno a noi”. “Salvare vite non può mai essere considerato un’opzione”, continua il presule, “è un imperativo morale che non può essere negoziato e a cui non si può rinunciare. Se abbiamo un cuore di carne, dobbiamo riconoscere che anche i migranti colpiti sono i nostri fratelli e sorelle”. “La Chiesa continuerà a fare ciò che ha fatto per molti anni, offrendo le nostre risorse ai migranti in difficoltà”, afferma l’arcivescovo, che chiede all’Ue di “fare di più per sostenere le nazioni povere e i loro cittadini”.