Pasqua 2020: card. Betori (Firenze), “abbiamo bisogno di speranza, di luce per il futuro, di coraggio”

“Quest’anno, in cui non è sembrato opportuno riproporre il rito dello scoppio del carro, non si è voluto però far mancare a Firenze il suo fondamento, il suo significato più profondo. La luce del fuoco benedetto c’è, e ci sarà sempre, ed è la fiamma del cero pasquale”. Così il cardinale arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori ha spiegato il gesto con cui, durante la Messa nel giorno di Pasqua, ha portato sul sagrato del duomo il cero acceso la sera prima con le pietre del Santo Sepolcro, come vuole la tradizione.
La fiamma del cero, ha sottolineato l’arcivescovo di Firenze, “è piccola, umile, come umile e nascosta è l’operosità di quanti, nella sanità e nell’agire solidale, si prendono cura in questi giorni delle persone più deboli, i malati e i poveri. Tenendo nel cuore sia i fragili che i buoni samaritani, ho mostrato alla città il cero di Cristo Risorto, avendo accanto a me il sindaco di Firenze, a dire che tutta la città condivide il messaggio di speranza racchiuso in quell’esile fiamma”.
Un messaggio, ha aggiunto, “che non è solo per i credenti, ma è rivolto a tutti, perché tutti in questo momento abbiamo bisogno che ci si dica che la luce ha la meglio sulle tenebre, perché la verità smaschera l’errore; che donarsi l’uno all’altro allontana ogni paura, perché non siamo più soli; che la vita vince la morte, perché la vita che noi abbiamo conosciuto, Cristo, è amore senza riserve, che non ha avuto paura della morte! È l’annuncio della Pasqua, il contributo dei cristiani nell’odierno smarrimento, un contributo di speranza, di luce e di coraggio”.
“Nessuno di noi – ha affermato il porporato – può pensare che il futuro possa essere uguale al passato”. “Vorremmo cancellare da questo mondo povertà, inequità, guerre e sfruttamenti; aspiriamo a maggiore giustizia, fraternità, pace, libertà, dignità per tutti. Cristo, che fa nuova la propria vita risorgendo da morte, è riferimento sicuro per un mondo nuovo, una strada affidabile di vera vita, un progetto di umanità che si attua in pienezza e non stravolge se stessa in sogni che ne negano le radici”.
Non solo: “L’uomo che si pensava Prometeo, ubriaco del proprio potere, si è sbriciolato di fronte a un virus impalpabile, ma anche la perdita dello specifico umano, che sta dietro a un naturalismo apparentemente innocente, rivela la sua ambiguità quando deve arrendersi di fronte a una natura che se non è governata può divorare l’umanità. Non siamo né angeli né bestie: abbiamo bisogno di un umanesimo di cui solo Cristo sa offrirci, nella sua vita fatta dono, il volto atteso dal desiderio del cuore. È lui, Gesù, la verità dell’uomo”.
Infine, il coraggio: “Colui che si è affidato al Padre nel donare la propria vita per amore, ci rivela che quelle risorse che noi non possiamo attingere dalle nostre limitate capacità sono invece il dono che Dio non rifiuta a chi lo invoca come Padre. Questo significa in concreto riconoscere che ogni segno di bene che scorgiamo nel mondo – e segni di bene non sono mancati e non mancano anche nelle sofferenze presenti, grazie a tanti che si sacrificano per i fratelli – è un segno di Dio, una traccia della sua grazia”.
“Speranza, luce e coraggio – la conclusione – è il dono della Pasqua di Gesù, ciò che scaturisce dalla sua Croce e Risurrezione. Che possiate incontrare oggi Gesù, speranza, luce e coraggio dell’umanità, è l’augurio che vi fa il vostro vescovo”.

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