Nel silenzio e nel deserto delle liturgie di questi giorni, celebrate a porte chiuse per l’emergenza coronavirus, liturgia è “salire sulle vette delle fatiche, delle miserie e delle speranze dell’umanità, metterle sull’altare, e in forza del sacerdozio invocare sulla carne dell’uomo che si prepara a rinascere il fuoco dello spirito di Dio”, dice padre Ermes Ronchi, teologo e biblista, in un’intervista al Sir. E il suo augurio di Pasqua è quello di “scoprire il valore e l’unicità di ogni persona. In questi giorni vediamo grafici e curve impennarsi su contagi, guariti e deceduti. Dietro questi numeri dobbiamo intravedere volti, immaginare gli occhi di chi non ha avuto una carezza, di chi è morto solo. L’augurio è che la Pasqua, questa Pasqua inedita, ci doni un nuovo sguardo sulla persona che deve essere al centro, venire prima degli interessi politici, economici e finanziari”, ma anche ci aiuti a “comprendere la preziosità della vita: nulla vale quanto una vita. Potevo esserci anch’io in una di quelle povere bare portate via dai camion di notte… Bisogna imparare ad avere cura della preziosità del corpo, dell’anima e della mente. E noi, che ci credevamo signori del creato, dobbiamo prendere confidenza con il mistero, con l’imprevisto che ci supera e forse è una feritoia verso Dio”. Anziché chiedersi quando finirà tutto questo, “come le donne il sabato preparavano aromi e oli profumati per portarli al corpo di Gesù, io in questo tempo accumulo scorte di volti, di occhi, di mani – spiega –. Metto da parte affetto e carezze per chi sta soffrendo, intuisco sorrisi sotto le mascherine, in attesa di quella piccola profezia”. “Ora – conclude – siamo in esilio gli uni dagli altri, ma un giorno tutti gli abbracci non dati saranno dati”.