“La disorganizzazione è molto profonda, ma non mi sento di dare la colpa all’ospedale, quando abbiamo il presidente della Repubblica che scappa alle Galapagos con la spiegazione che è una persona disabile e a rischio”. Mons. Giovanni Battista Piccioli, vescovo ausiliare di Guayaquil, commenta così, al Sir, la situazione molto difficile della metropoli del sudovest ecuadoriano. Oltre al problema della sepoltura dei cadaveri, alla quale non si è provveduto nei giorni scorsi, c’è la precaria attenzione che viene data ai malati: “Qui i servizi – afferma il vescovo – sono quelli che sono, spesso i malati vengono portati magari con un furgoncino e subito spediti a casa”.
E poi c’è il problema di aiutare chi è rimasto senza lavoro e non sa come mangiare, in una città dove 7 lavoratori su dieci sono precari o hanno occupazioni informali o vivono di espedienti. La distribuzione a domicilio avviata dall’arcidiocesi in collaborazione con il Banco Alimentare e Caritas Ecuador prosegue senza sosta: “Abbiamo avuto anche diverse donazioni da privati e imprenditori, in venti giorni abbiamo raggiunto 100mila persone con sacche che contengono alimenti per una ventina di giorni, ma vogliamo arrivare a 600mila persone. Poi abbiamo messo a disposizione gli ambulatori, circa 60, anche se non sono attrezzati per affrontare i casi di coronavirus”. Un’altra preoccupazione di mons. Piccioli è costituita dai sacerdoti: “Ne abbiamo circa 250, molti sono anziani e poveri. Si mantengono con le offerte che arrivano nelle chiese, qui non c’è il sistema di offerte deducibili e 8 per mille come in Italia. Ma ora è tutto fermo. Due sono morti, altri venti sono malati”.
Il vescovo è reduce da un volo in elicottero, con l’arcivescovo. In occasione del Giovedì Santo tutta la città è stata sorvolata e benedetta con il Santissimo: “Mi conforta il fatto che ho visto una città completamente vuota, a parte una sola strada con un piccolo mercato rionale, nel sud. Come ci dicono tutti, stare a casa è l’unico modo per uscirne”.