“La pandemia minaccia tutti gli esseri umani, al di là di ogni confine geografico e politico; è esperienza totalizzante, che attraversa le pieghe dell’esistenza e investe la dimensione sociale ed economica, civile e politica ed assieme quella religiosa. L’espressione ‘io resto a casa’ scandisce ormai la quotidianità di miliardi di esseri umani e non è solo questione di prescrizioni per la salute pubblica; è un’incisione profonda nella storia e nelle coscienze”. Lo scrivono, nella lettera “Insieme sulla stessa barca”, i teologi Vittorio Berti, Enzo Biemmi, Alessandro Cortesi, Marco Giovannoni, Andrea Grillo, Fabrizio Mandreoli, Simone Morandini, Serena Noceti, Riccardo Saccenti.
“Tutti e tutte – proseguono – ci troviamo coinvolti in un’esperienza che accomuna nella paura, nel dolore, nella preoccupazione; ci troviamo segnati dalla consapevolezza, profonda e provocante, di essere partecipi di un’unica condizione, legati gli uni agli altri in orizzonte planetario. Tutti e tutte assistiamo alla generosa testimonianza di tanti che, nel mondo della sanità o del lavoro o del volontariato, operano secondo le parole di Gesù: ‘Ero malato e mi avete visitato’ (anche se molte e diverse sono le motivazioni, religiose o no)”.
Per i teologi, “la sfida è quella di capire come vivere questo tempo, così pieno di esperienze di dolore, di sofferenza, di morte, magari vissuta nella solitudine. Tempo di angoscia per familiari e amici, ma anche per i più deboli, per chi non ha risorse e appoggi, per i senza casa o per chi è in cerca di rifugio. Tempo di solitudine o di forzata condivisione di spazi ristretti (questo è per molti ‘io resto a casa’); di agire rischioso e drammaticamente urgente per alcuni, di vuoto e di inazione per tanti altri. Tempo di ansia per la perdita del lavoro e di preoccupazione per una vita familiare da tirare avanti. Tempo che ci rivela in modo diverso chi siamo: ci mostra la nostra fragilità e ci fa toccare con mano quanto essenziali siano le reti di relazioni in cui siamo inseriti ed il sostegno che ci offrono. Tempo che evidenzia tante contraddizioni della forma sociale presente e le rende più acute: la produzione di armi continua, come fosse attività essenziale, mentre mancano dispositivi elementari negli ospedali e troppi sperimentano la povertà. Tempo, quindi, che mette in discussione certezze ed obbliga a ripensare ciò che dà valore e qualità alla nostra vita”.