“Ci sono persone che muoiono, feriti, bambini traumatizzati, proprietà distrutte, la nazione è presa dalla paura. Questo è un costo troppo elevato da pagare per delle elezioni nazionali e per una nazione in ogni caso. Non ci sono parole abbastanza forti per esprimere la gravità della situazione e l’urgenza che finisca”. Inizia così l’accorato appello di mons. Francis Alleyne, vescovo di Georgetown, capitale della Guyana, a proposito degli scontri tra maggioranza e opposizione, che stanno paralizzando il Paese, a una settimana dalle elezioni presidenziali, rispetto alle quali non è ancora stato comunicato il risultato. Negli scontri c’è stata anche una vittima.
È lo stesso mons. Alleyne, contattato dal Sir, a parlare della difficile situazione dell’unico Paese anglofono del Sudamerica: 700mila abitanti che vivono in un territorio grande come due terzi dell’Italia, in gran parte costituito da foreste. Un crogiolo di etnie e religioni (i cristiani sono oltre il 50%, ma i cattolici costituiscono circa l’8% della popolazione). “Le elezioni, di per sé, sono andate bene – dice il vescovo –. La gente è andata a votare, numerosa e in modo pacifico”. Un fatto non scontato, in una nazione attraversata da forti tensioni etniche, soprattutto tra gli agricoltori indiani, prevalentemente di religione induista, e la popolazione afro, mentre esistono anche minoranze indigene. Tensione che si riflette anche sul mondo politico. Il presidente uscente David Granger, a capo della coalizione formata dai partiti Association for National Unity e Alliance for Change, reduce da una mozione di sfiducia ricevuta dal Parlamento nel 2018 per non aver convocato le elezioni alla scadenza naturale, è appoggiato soprattutto dalla popolazione afro. Il suo oppositore Irfaan Ali (Progressive People’s Party), soprattutto dagli indiani. Ad alzare la posta in gioco, la gestione degli immensi giacimenti di petrolio scoperti nel 2015. “I problemi – continua il vescovo – sono arrivati con lo scrutinio, con sospetti di interferenze sul processo elettorale, sul conteggio dei voti. Attualmente tutto è sospeso e martedì inizierà una sessione del Tribunale che deve decidere se la Commissione elettorale deve continuare lo scrutinio”. Ad accusare di brogli è soprattutto Irfaan Ali. Sotto esame soprattutto i voti della cosiddetta Regione 4.
Mons. Alleyne ribadisce il proprio appello: “Bisogna superare la tensione politica. La via da seguire per il ripristino della pace spetta al piccolo gruppo di persone incaricate di gestire l’intero processo elettorale”. Da qui l’appello alla Commissione elettorale, perché “completi rapidamente il conteggio dei voti e dichiari l’esito delle elezioni in modo trasparente e legittimo”. Quindi, “la maggioranza avrà il compito di governare”, ma questo dovrà accadere in un’ottica di rispetto e attenzione al bene comune, superando l’attuale alto livello di corruzione.