“Si sta prolungando ancora il periodo dei disagi causati dal coronavirus: anche questa domenica, la seconda di Quaresima, non potremo trovarci nelle nostre chiese per la celebrazione aperta alla comunità dell’Eucaristia. Non ci potremo incontrare, dovremo rinunciare a tanti appuntamenti significativi che avevamo in programma, a cui ci eravamo preparati, che attendevamo con gioia: un battesimo, una cresima, forse un matrimonio. Non potremo nemmeno trovarci come comunità che accompagna i suoi morti all’abbraccio con il Padre. Tutto questo ci manca molto. Sembra proprio che ci manchi troppo”. Lo scrive il vescovo di Treviso, mons. Michele Tomasi, in un messaggio alla diocesi, nella II Domenica di Quaresima.
“In questo periodo siamo concretamente consapevoli di essere legati gli uni agli altri. Ci viene chiesto di stare tutti alle stesse regole, di avere tutti le stesse attenzioni, perché solo questa unità di intenti può essere efficace nell’impedire la diffusione del contagio. Vediamo concretamente cosa significhi che dipendiamo gli uni dagli altri, che anche dai nostri comportamenti dipende la vita e la salute delle persone, anche di quelle che non ci sono vicine, che non vivono con noi, anche di tanti che non conosciamo neppure. Abituati talvolta ad andare per la nostra strada ci sembra difficile poter rivedere il passo, fermarci ad aspettare, senza sapere ancora per quanto”, sottolinea il presule.
In questo periodo “ci rendiamo conto che non siamo padroni della nostra esistenza e del nostro tempo, che i nostri progetti non sono davvero in mano nostra. Ci viene anche paura, certo. Paura del contagio, paura di mettere in pericolo persone care. Paura in fondo di non essere noi a determinare il senso della nostra vita e a decidere il corso della nostra storia”.
Ma “abbiamo anche la possibilità di cogliere quanto il tempo che ci è dato da vivere sia un dono. Non una conquista, non una cosa scontata. Ma un dono. Da riscoprire come una vocazione, come una chiamata alla pienezza di vita e di senso. Una chiamata alla lode e alla riconoscenza per il dono della vita. Una chiamata al servizio a chi è in difficoltà o che soffre. Una chiamata alla dignità infinita di poterci prendere cura gli uni degli altri. Una chiamata a essere vicini a tutti nella preghiera al Signore”.
Con questa preghiera, cconclude, “saremo vicini a chi è ammalato e solo; a chi non può lavorare, a chi deve inventare ogni giorno qualcosa di nuovo per stare insieme ai figli o ai nipoti rimasti a casa da scuola, a chi non vede prospettive per la propria attività economica”.