“La fede nel Signore che ci libera da ogni male, la forza della Grazia che nutriamo attraverso i sacramenti, e la supplica che Egli allontani le epidemie e propizi la guarigione dei malati non sono in contrasto con le evidenze della ragione scientifica e clinica sulle modalità con cui può avvenire il contagio virale e non dispensano – secondo coscienza retta e certa – dall’impegno attivo a prevenire ogni possibilità di infezione per contatto ravvicinato tra i fedeli. La saggezza e la carità pastorale suggeriscono inoltre ai ministri una prudente modalità di amministrazione dei sacramenti”: lo ricorda don Roberto Colombo, docente presso la Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, membro della Pontificia Accademia per la vita e consultore del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, in merito all’emergenza che sta vivendo il nostro Paese in merito al coronavirus, evidenziando che “fede e scienza non si escludono a vicenda, perché sono entrambe dono di Dio all’uomo, e le ragioni della fede abbracciano anche quelle della scienza, e viceversa”. Questa precisazione è d’obbligo visto che “non possiamo non guardare con disagio alle affermazioni fatte circolare sui social network e alle iniziative estemporanee di quanti – in nome di un pretesa assolutizzazione irrealistica delle pur giuste esigenze della fede e delle pratiche religiose – teorizzano, praticano o diffondono una irresponsabile deroga alle più elementari norme di profilassi ambientale antivirale nei luoghi di culto”.
Don Colombo sottolinea come questi siano “giorni di preoccupazione grande e innegabile fatica per i cittadini e per i fedeli, che si trovano a fronteggiare – sotto la guida delle autorità civili nazionali e regionali – l’emergenza sanitaria provocata dalla diffusione del contagio da betacoronavirus Sars-Cov-2 in un numero crescente di aree del nostro Paese”. E rammenta anche che “si registrano iniziative di forte impegno assistenziale, di solidarietà e di prossimità ai malati di Covid-19 e a quanti temono di essere raggiunti da questa infezione perché vivono in zone a rischio o sono particolarmente esposti, a motivo della loro professione sanitaria, del servizio sociale svolto, dell’età avanzata o delle precarie condizioni di salute in cui versano, e i cittadini e i fedeli stanno assumendo le precauzioni opportune, sia sul piano dell’igiene personale sia su quello dei luoghi e dei momenti di vita comunitaria e di contatti interpersonali”.