Ragazzo ucciso a Napoli durante una rapina: don Pagano (cappellano Nisida), “qui non c’è ‘terzo genitore’ che vigili su minori a rischio”

“Nella rapina finita male a Napoli con la morte del quindicenne che voleva rubare ci sono due vittime, entrambi giovani: uno che ha perso la vita e l’altro che si porterà nel tempo un peso, oltre ai problemi che potrà avere dal punto di vista legale. A questo si aggiunge l’atto gravissimo e delittuoso avvenuto all’ospedale Pellegrini che ci dice qual è il contesto e la cultura da cui quel quindicenne proveniva. La domanda che come società civile, come Stato, come Chiesa, come esseri umani dobbiamo porci è: quanti ragazzi a Napoli vivono le stesse modalità e le stesse situazioni di Ugo? Cioè lasciati a una cultura che è spesso è finta cura dei propri figli, dei propri giovani”. Lo dice, in un’intervista al Sir, don Gennaro Pagano, cappellano dell’Istituto penale per minorenni di Nisida. Il sacerdote si chiede: “Quali vite vengono intercettate dalla Napoli cosiddetta bene? Le politiche sociali, le politiche educative, le politiche associative vengono veramente utilizzate per intercettare questa che io chiamo la ‘paranza degli invisibili’? Di questi ragazzi, infatti, conosciamo nome e cognome solo quando vengono sui giornali o perché sono stati vittime o perché hanno fatto vittime”. E aggiunge: “Qui stiamo parlando di ragazzi che vivono e crescono in una città dove non vi è un controllo sociale, perché i protagonisti della rapina, Ugo e il suo complice, erano due giovanissimi su un motorino in piena notte che compivano rapine. Non è il primo episodio del genere”.
In realtà, evidenzia don Pagano, “Napoli non è una città, è un insieme di città, Napoli non è una cultura, è un insieme di culture, che a volte convivono nello stesso quartiere. Ogni subcultura ignora quella della città che le sta accanto. Il dramma è che quello che tu giudichi buono non è considerato buono dalla famiglia di Ugo e dal suo contesto, dal suo quartiere, dal suo ambiente. Cosa possiamo fare noi se non avere più presenza possibile verso questi ragazzi quando sono bambini per cercare di seminare parole, concetti, possibilità nella loro vita? Qui non c’è un ‘terzo genitore’ che vigili su questi ragazzi. Non c’è nessuno che, rispetto a questi nuclei familiari problematici, eserciti un minimo di controllo sui loro ragazzi. Ciò significa che in certi ambienti non si riprodurrà solo l’essere umano, ma con il bambino si riprodurrà anche una certa cultura”.

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