“I fatti che si vedono in questi giorni sono struggenti: la situazione in seno alle famiglie che hanno un lutto è tragica. I congiunti dei defunti sono distrutti, è una sofferenza enorme, non possono stare con loro al momento del trapasso, anche se si dice che medici e infermieri non lasciano soli, negli ultimi istanti, i moribondi”. Lo dice, in un’intervista al Sir, don Davide Santus, un giovane parroco di Caprino Bergamasco, raccontando i momenti difficili che sta vivendo tutta la Bergamasca, a causa dell’altissimo numero di contagiati e morti per il coronavirus. “Qui, di solito, quando muore una persona è tutto il paese che partecipa al dolore, chiudono i negozi, il corteo funebre a piedi attraversa la città, ora non c’è nemmeno la possibilità di avere un funerale, un saluto pubblico. È un dolore che va ad aggiungersi a un dolore – sottolinea il parroco -. Noi sacerdoti chiamiamo i parenti, che si trovano a loro volta in quarantena, e assicuriamo il ricordo dei loro cari nella messa e questo dà molto conforto, come pure la benedizione al cimitero. Io assicuro alle famiglie che ci sarà poi un funerale per ciascun defunto. Oramai i morti sono tantissimi. Ci sono tante famiglie decimate: in paese è arrivata la telefonata di un ospedale per chiedere se avevamo disponibilità di spazi dove mettere le bare in attesa della cremazione o della sepoltura”.
Non è neppure scontato che i numeri, già gravissimi, dei contagiati a Bergamo e Provincia (4.645, secondo i dati della Protezione civile, aggiornati a ieri pomeriggio) corrispondano alla realtà: “Ci sono tanti anziani che muoiono in casa e i familiari ci chiamano per l’olio santo. Così noi sacerdoti ci troviamo ad amministrare i sacramenti anche a malati che hanno evidentemente il coronavirus anche se non è accertato ufficialmente. Mi è capitato qualche giorno fa di andare a dare l’estrema unzione a una persona che poi è morta soffocata durante il rito: una scena straziante”, ammette don Davide. In diocesi “sono morti tanti sacerdoti, altri sono ricoverati, alcuni in terapia intensiva. Anche se andiamo con la mascherina, quando entriamo in una casa per dare l’estrema unzione a un malato di polmonite, non ufficialmente Covid-19, è una protezione irrisoria: nella stanza del moribondo non si cambia l’aria da giorni per non fargli prendere freddo e ci sono tanti parenti. Ma andiamo ugualmente per non far mancare il conforto della fede”.