“Non si può non essere contenti. Qualunque siano le motivazioni che hanno portato le due parti a firmare questo accordo, è un primo passo verso la pace”: così padre Giovanni Scalese, religioso barnabita che guida la Missione sui iuris in Afghanistan, commenta al Sir l’intesa Usa-Talebani, firmata il 29 febbraio a Doha. “Ma non è ancora la pace” precisa il religioso che pone in evidenza il fatto che “nell’accordo non viene preso alcun impegno per un cessate il fuoco. Questo sarà oggetto di trattativa nei negoziati che dovrebbero iniziare presto (10 marzo a Oslo, ndr.) fra Talebani e Governo afghano. Negoziati che non saranno certamente facili”. Il presidente afghano Ghani, infatti, ha già tenuto a precisare che “l’annunciato rilascio dei prigionieri non può essere considerato previo ai negoziati, ma anch’esso oggetto delle future trattative”. In ogni caso, rimarca padre Scalese, “è un cammino che, per quanto difficile, prima o poi deve essere intrapreso, se si vuole giungere a una pace vera e duratura. Il sentimento che ci anima in questo momento, dunque, è quello di una grande speranza, consapevole però delle difficoltà che si frappongono fra una dichiarazione di intenti e i risultati effettivi”. Secondo il barnabita “il timore principale è che, una volta partite le truppe americane e Nato, la situazione possa precipitare e l’Afghanistan sia costretto a rivivere la tragica esperienza della guerra civile. Non ci si può quindi lasciare andare a ingenui entusiasmi; ma neppure dobbiamo lasciarci sopraffare dal pessimismo”. “Abbiamo pregato tanto in questi anni per la pace; non possiamo arrenderci proprio ora che si intravvede uno spiraglio di luce. Dobbiamo continuare a pregare – conclude – perché il popolo afghano, facendo tesoro dell’esperienza di questi anni drammatici, trovi il coraggio di dire un ‘no’ definitivo alla violenza e inizi un processo di riconciliazione, fondato sulla giustizia e il perdono”. La Missione ha sede all’interno dell’Ambasciata italiana a Kabul.