Anche in un tempo di emergenza, limitazioni e rinunce come quelle imposte dalle misure di contenimento della diffusione del coronavirus, può nascere qualcosa di buono. E’ un tempo che ci spinge anzitutto a fare i conti con la nostra fragilità e precarietà, con “la consapevolezza che la mia esistenza e quella degli altri non dipendono da me; non sono io il padrone della vita. Basta un virus – ancorché con un nome regale – a metterla a rischio. Un virus che può aiutare tutti noi a purificarci dalla nostra indifferenza di fronte a questo mistero che la nostra società tenta di controllare e a volte ‘dominare’ attraverso il progresso scientifico-tecnologico”, afferma in un’intervista al Sir p. Ermes Ronchi, teologo dell’Ordine dei Servi di Maria, scelto nel 2016 da Papa Francesco per guidare gli Esercizi spirituali di Quaresima per il Pontefice e per la Curia romana. “Questa emergenza – assicura – è in realtà un invito a servire la vita ponendo fine alla superficialità, all’indifferenza, all’egoismo che fa mettere me al centro di tutto; quindi non dimenticando che tutto è dono. La salute e il buon funzionamento, oggi, delle cellule del mio corpo sono un dono da riscoprire; nulla è scontato o dovuto”. Inoltre, osserva, “forse ci voleva proprio l’esperienza del male comune per dirci che cos’è il bene comune, oggi tanto deriso e vituperato”. Di qui una lezione di solidarietà: evito “scelte irresponsabili e obbedisco alle disposizioni restrittive” perché “proteggendo me stesso proteggo i più deboli, i più esposti: anziani, adulti fragili, bambini malati”.