“Dobbiamo iniziare dalle parrocchie e non nascondere tutto il sotto tappeto. Invece facciamo finta di non vedere cosa avviene sulle nostre strade: stiamo distruggendo generazioni di donne, sempre più giovani. Troviamo ragazzine addormentate in terra come stracci, è una vergogna”. Questo l’appello di suor Eugenia Bonetti, la veterana delle suore anti-tratta, missionaria della Consolata, nella VI Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta degli esseri umani che si celebra oggi, 8 febbraio. Sono 40 milioni le persone ridotte in schiavitù nel mondo, di cui il 72% donne e bambine. Un terzo delle vittime sono minorenni. In Italia sono stimate almeno 90-100.000 donne costrette a prostituirsi sulle strade e oltre 6 milioni i “clienti” che “le usano e abusano, di cui il 90% si dicono cattolici”. Al Sir, suor Bonetti snocciola cifre che ripete da una vita. Ancora oggi trascorre molte delle sue giornate al Cpr di Ponte Galeria, a Roma, accanto alle donne trovate in strada senza regolari permessi, in attesa di essere rimpatriate. Fondatrice e presidente dell’associazione Slaves no more, non si stanca di alzare la voce contro questo fenomeno che negli anni “ha cambiato forma ma non è migliorato: oggi in strada ci sono sempre più ragazzine”. Fu proprio lei, nel settembre 2013, ad incontrare per la prima volta il Papa, chiedendogli di istituire la Giornata mondiale l’8 febbraio, in occasione della festa di santa Giuseppina Bakhita, la giovane sudanese rapita a 7 anni, venduta più volte al mercato degli schiavi, poi liberata e divenuta suora e poi santa nel 2000 per volontà di Giovanni Paolo II. La sfida attuale della Giornata mondiale, sottolinea la religiosa, “è la sensibilizzazione delle parrocchie, perché tutti sappiano che questo enorme fenomeno sta distruggendo le vite di milioni di persone”. Da quando è stata istituita la Giornata, suor Bonetti nota “più sensibilità tra le organizzazioni che lavorano nel settore ma la domanda non è cambiata”: “I clienti delle ragazze sono convinti che vogliono fare questo lavoro. Non sanno che sono talmente invischiate nella rete al punto da dover mentire, perché altrimenti vengono picchiate. Portano i segni su tutto il corpo, insieme alle ferite interiori. Dopo queste esperienze non saranno più le stesse”.