“La nostra Repubblica è nata sul sangue di chi ha combattuto il fascismo e il nazismo e si è rinnovata e consolidata in quegli anni in cui era sotto scacco. Anche ai nostri giorni dovremmo ricordarci che la democrazia non si conquista una volta per tutte e le insidie possono essere molte, anche quando non si spara per strada. Possono essere uccise le coscienze, le menti, la capacità di partecipare, di sentirsi appassionati difensori dei beni comuni”. Lo ha detto l’ex ministro Rosy Bindi, ricordando a Taranto Vittorio Bachelet, ucciso il 12 febbraio 1980 dalle Brigate Rosse. A quarant’anni dalla sua scomparsa, l’Azione Cattolica della diocesi ionica ha voluto ricordarne il messaggio e la testimonianza invitando a parlarne Rosy Bindi, che ai tempi era sua assistente universitaria alla Sapienza di Roma e si trovava proprio accanto a lui quando gli spararono. “I giovani non lo hanno conosciuto e non hanno vissuto quegli anni, così importanti per il nostro Paese – ha aggiunto l’ex ministro –, gli anni del terrorismo, in cui siamo stati privati degli uomini migliori che aveva l’Italia. Bachelet era un uomo rigoroso nello studio, appassionato docente universitario, uomo di fede, che ha rinnovato l’Azione Cattolica italiana post Concilio Vaticano II e che è stato ucciso proprio perché, da vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, svolgeva un servizio preziosissimo per il nostro Paese. Da lui ho imparato che bisogna esercitare le funzioni pubbliche con grande rettitudine, con impegno e passione”. Rispondendo alla domanda su quale idea avrebbe avuto Bachelet della politica di oggi, fatta a colpi di tweet, Bindi ha risposto che “era un uomo calato nel suo tempo”. “Un uomo di speranza. Non avrebbe demonizzato gli strumenti digitali – ha spiegato -, ma avrebbe vissuto il buono del tempo presente, magari avrebbe twittato anche lui ma per veicolare messaggi positivi”. “Forse oggi, il nemico principale è l’individualismo, l’indifferenza, il ritorno di pericolosi sentimenti come il razzismo, lo sdoganamento della violenza nel linguaggio nel confronto politico, la nostalgia, forse mai sopita, del fascismo e del nazismo, il considerare l’Europa non una seconda patria ma un avversario, la persistente crescita delle disuguaglianze, la mancanza del lavoro e di una prospettiva per i giovani. Anche questi sono attentati alla democrazia”. Infine, un appello ai cristiani. “Non ci possiamo permettere il disimpegno dalla vita pubblica, come cristiani abbiamo un patrimonio di cui non siamo padroni”.