Forte disaccordo con l’amministrazione Trump. I vescovi americani contestano l’ultima decisione del presidente che venerdì scorso ha emesso un ordine esecutivo con cui limita il rilascio di visti per gli immigrati provenienti da Myanmar, Eritrea, Kirghizistan e Nigeria e anche chi arriva da Paesi disagiati come Sudan e Tanzania non potrà più beneficiare di visti speciali, la cosiddetta “Visa diversity”.
I vescovi delegati dalla Conferenza episcopale per occuparsi delle migrazioni a più livelli, dall’assistenza umanitaria alla libertà di religione, hanno emesso un comunicato congiunto con il presidente del Catholic Service Relief, la maggiore organizzazione caritativa per i migranti e la Caritas in cui denunciano apertamente il decreto che avrà un impatto anche sul ricongiungimento familiare e sugli aiuti ai migranti che sono stati forzati a rimanere nei Paesi messi al bando.
“Osserviamo con particolare tristezza e abbiamo assistito in prima persona al trauma della separazione familiare che si verifica con i divieti di viaggio, estesi anche all’ambito delle malattie familiari” dichiarano vescovi e volontari preoccupati che questo ennesimo divieto frutto di informazioni parziali “danneggerà famiglie innocenti”. Pur consapevoli della necessità della sicurezza questa ulteriore chiusura porterà costi umani non calcolabili secondo i presuli.
L’arcivescovo José Gomez, presidente della Conferenza episcopale, continua a ribadire che l’accoglienza delle famiglie ha permesso “al nostro Paese di integrare le successive generazioni di immigrati nel tessuto della vita americana, consentendo loro di contribuire con la loro fede, i valori e i talenti a renderlo grande” ed esorta l’amministrazione a tornare sui suoi passi. I migranti sono tornati al centro del dibattito tra vescovi, presidenza e Corte Suprema. Anche la scorsa settimana, i vescovi avevano denunciato con forza l’ultima decisione dei giudici della Corte con cui limitava l’accesso a servizi essenziali come la sanità e l’alloggio a quei migranti che hanno pendenze legali sul loro stato di permanenza negli Usa. La lentezza delle pratiche di accertamento delle richieste di accoglienza e di asilo, accompagnata da questa ultima sentenza giuridica “avrà conseguenze devastanti per le comunità di immigrati, poiché le persone colpite vengono gettate nell’ombra perché temono la deportazione e la separazione dalla famiglia” quando si rivolgeranno agli enti assistenziali per un supporto, anche a quelli cattolici. “Impedire a chiunque di avere accesso a servizi salvavita è contrario alla nostra convinzione che tutta la vita sia sacra dall’inizio alla fine ed è contraria al Vangelo ci obbliga a servire coloro che sono nel bisogno, indipendentemente dalle circostanze” è stato l’affondo dei vescovi che chiedono al presidente impegni seri sulla difesa della vita e non proclami da palco come accaduto durante la marcia a Washington lo scorso 24 gennaio.