“390 morti e 2359 feriti per terrorismo di matrice jihadista (120 azioni violente) dal 2014 al 2019; sette attacchi su dieci si sono concentrati nel periodo di massima espansione dello Stato islamico (2015-2017). Il 56% degli attacchi è registrato come fallimentare, il 22% un successo tattico, il 78% ha ottenuto un risultato significativo in termini di danni riuscendo a condizionare le normali attività degli apparati pubblici o di mobilità urbana. Con questo risultato il terrorismo non mira solo ad uccidere e ferire, ma a dividere le nostre società e a diffondere odio e intolleranza”. Sono questi solo alcuni dei dati contenuti nel primo “Rapporto sul terrorismo e il radicalismo islamico in Europa” di React, l’Osservatorio sul radicalismo e il contrasto al terrorismo presentato oggi a Roma, con il patrocinio del Ministero della Difesa. Il Rapporto, ha spiegato il direttore esecutivo dell’Osservatorio, Claudio Bertolotti mostra anche altri numeri: “18 gli attacchi terroristici ed episodi di violenza di matrice jihadista nel 2019: Francia (9), Paesi Bassi (3), Italia (2), Norvegia (2), Regno Unito (1) e Svezia (1), per un totale di 10 persone uccise e 46 ferite. La maggior parte delle azioni ha visto l’uso di coltelli (76%) e armi da fuoco (18%); solo in un caso (Lione) è stato fatto uso di esplosivi”. Dal Rapporto emerge, inoltre, la dimensione europea del nuovo terrorismo: “Degli 895 attacchi terroristici registrati nell’Ue dal 2014 al 2017, il 67% sono riconducibili a gruppi separatisti ed etno-nazionalisti, il 12% a movimenti della sinistra radicale, il 3% a gruppi appartenenti alla destra militante: solamente il 16% sono azioni di matrice jihadista. Ma sebbene gli atti riconducibili allo jihadismo siano una parte marginale del totale, sono però causa del 96% delle morti complessive”. In Europa, si legge nel Rapporto, “è emerso sempre più il ruolo dinamizzante di azioni ‘autonome’ e ‘ispirate’, dove la capacità attrattiva ed emulativa degli attacchi organizzati e ad alta intensità e impatto mediatico ha spinto individui non direttamente riconducibili all’organizzazione Stato islamico a commettere azioni violente con un livello di preparazione minimale ma in grado di ottenere un’elevata attenzione mass-mediatica. L’effetto emulativo si consuma negli 8 giorni successivi ai grandi attacchi organizzati”. Il Rapporto si sofferma anche sul possibile collegamento tra immigrati e terrorismo: “Dal gennaio 2014, 44 rifugiati o richiedenti asilo sono stati coinvolti in 32 complotti jihadisti in Europa. Sebbene la maggior parte di questi soggetti si sia radicalizzata prima dell’ingresso in uno dei Paesi europei, tuttavia i processi di radicalizzazione avviati dopo l’arrivo in Europa sono divenuti più comuni a partire dall’autunno del 2016. Nel complesso – annota la ricerca – il periodo di latenza tra l’arrivo in Europa e la partecipazione a un’azione terroristica in genere associata allo Stato islamico è di 26 mesi”.