Ragazzo morto di anoressia: Cantelmi (psichiatra), “attenzione a campanelli d’allarme”. “Implementare reti di intervento e studiare terapie per forme resistenti”

“Occorre implementare reti di intervento sempre più efficaci, ma anche riconoscere che esistono alcune forme di anoressia ad oggi resistenti a qualsiasi trattamento”. Tuttavia “non bisogna arrendersi. Dobbiamo studiare ancora molto”. A sostenerlo in un’intervista al Sir è lo psichiatra Tonino Cantelmi, dopo la morte, il 3 febbraio a Torino, del ventenne Lorenzo Seminatore e la denuncia-appello di domenica scorsa dei suoi genitori. Secondo il ministero della Salute, ogni anno si registrano nel nostro Paese 8-9 casi ogni 100mila donne e 1,4 nuovi casi ogni 100mila uomini, in un rapporto maschi/femmine di quasi 2 a 8. I disturbi del comportamento alimentare riguarderebbero dai 3 ai 4 milioni di italiani. Nelle forme resistenti alle cure il tasso di mortalità si aggira tra il 5 e il 10%. “A rischio – spiega lo psichiatra – sono soprattutto le adolescenti tra i 14 e i 16 anni ma aumentano i maschi e, anche se in percentuale minima, può esordire anche in bambini e bambine a partire dai 6-8 anni. In alcuni casi, nonostante i migliori trattamenti, può purtroppo condurre alla morte”. Diverse le cause: alcune di ordine genetico, biologico, costituzionale; altre di ordine più ambientale. In ogni caso, “per la guarigione sono strategici la precocità e la qualità dell’intervento”. Attenzione dunque ai campanelli d’allarme: un’attenzione esasperata dei ragazzi o delle ragazze per la quantità di cibo che assumono, per il loro peso e immagine fisica.

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