Il Centro studi Rosario Livatino, il Forum delle associazioni socio sanitarie e il Movimento per la vita italiano esprimono, in una nota, preoccupazione per il testo, approvato il 6 febbraio 2020 da parte del Consiglio nazionale della Federazione degli ordini dei medici (Fnomceo), degli “indirizzi applicativi dell’articolo 17” del Codice deontologico medico, che ha fatto seguito alla sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale sul suicidio assistito: un testo che stabilisce “la non punibilità del medico da un punto di vista disciplinare”, qualora ricorrano le condizioni previste dalla Consulta per la non punibilità nel giudizio penale del medico che abbia aiutato al suicidio.
“Premesso che la scelta di completo adeguamento alla sentenza non era per l’Ordine obbligata né necessaria – si legge nella nota -, ci chiediamo come si concili un Codice deontologico così modificato alle ancora vigenti disposizioni della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale, che definisce quest’ultimo ‘il complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione’: poiché non è ben chiaro a quale degli obiettivi propri del Ssn – la promozione, il mantenimento, il recupero della salute – si ascrive l’aiuto che il medico è chiamato a dare al suicidio, ci si trova di fronte al paradosso di una norma deontologica che tutela il paziente meno rispetto a una norma di legge positiva”.
La nota continua: “Quel che sorprende è che un Ordine, qual è quello dei medici, assuma una decisione che va in controtendenza rispetto all’autonomia della professione. La sentenza n. 242 non fissa l’obbligo per il medico di assecondare l’intenzione suicidiaria, e anzi ricorda che costui continua ad avere come faro esclusivo la propria ‘coscienza’”.