Conflitti: Save the Children, “almeno 12.125 bambini sono stati uccisi o feriti dalla violenza legata ai conflitti nel solo 2018”

“Almeno 12.125 bambini sono stati uccisi o feriti dalla violenza legata ai conflitti nel solo 2018, un aumento del 13% rispetto al totale riportato l’anno precedente, con l’Afghanistan che risulta il Paese più pericoloso”. Lo denuncia, oggi, Save the Children, nel rapporto “Stop the war on Children – Gender matters”. Il rapporto è stato lanciato nell’ambito della campagna “Stop alla guerra sui bambini”, in vista della Conferenza di Monaco, dove i leader mondiali si riuniranno per discutere questioni di sicurezza internazionale. “Anche il numero di attacchi segnalati a scuole e ospedali è salito a 1.892, con un aumento del 32% rispetto all’anno precedente. Tra il 2005 e la fine del 2018 – evidenzia l’organizzazione – risultano 20.000 casi verificati di violenza sessuale contro i minori. Si ritiene che questo numero sia solo la punta dell’iceberg in quanto la violenza sessuale è enormemente sottostimata a causa delle barriere sociali e dello stigma ad esso associato nonostante venga spesso utilizzata come tattica di guerra”.
“È sbalorditivo che il mondo resti a guardare mentre i bambini sono presi di mira impunemente: dal 2005 è stato registrato che almeno 95.000 bambini sono stati uccisi o mutilati, decine di migliaia di bambini rapiti e a milioni di bambini è stato negato l’accesso all’istruzione o ai servizi sanitari dopo che le loro scuole e ospedali sono stati attaccati. I dati colpiscono, ma non rappresento la reale dimensione del dramma che sono costretti a subire i bambini in conflitto, che è molto più ampio”, denuncia Filippo Ungaro, direttore delle campagne di Save the Children. “Guarire dal virus dell’indifferenza significa pretendere che non si colpisca indiscriminatamente la popolazione civile, che non vi siano conflitti per procura, che si fermi la folle corsa agli armamenti e al business della loro esportazione a Paesi che compiono violazioni dei diritti umani e dei bambini”, osserva Ungaro.

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