“Le stanze del dolore siano stanze di resurrezione, di affetti e di umanità ritrovata attorno all’essenziale: un abbraccio, una carezza, una lacrima asciugata. Amare ed essere amati”. Così ha pregato, ieri sera, l’arcivescovo di Trento, mons. Lauro Tisi, durante l’omelia della s. messa presieduta in occasione della XXVIII Giornata mondiale del malato, nella chiesa dell’ospedale Santa Chiara di Trento.
Durante l’Eucarestia, concelebrata insieme ai cappellani ospedalieri don Cornelio Carlin, padre Davide Negrini e fra Ezio Tavernini e animata dal coro formato da personale del S. Chiara, è stato conferito anche il sacramento dell’unzione degli infermi.
Il presule ha parlato del dolore e della malattia come “un’obbedienza pesante, a cui nessuno è mai preparato e quando arriva modifica sempre la vita”, con il suo carico di “smarrimento, angoscia, paura”. “Ma noi sappiamo, e in questa casa – ha sottolineato – avviene esattamente questo, che l’obbedienza prodotta dalla malattia in più di un caso diventa luogo di rivelazione, dove ti accorgi di chi ami e a chi vuoi bene. Ti accorgi che il nucleo della vita altro non è che una mano che ti raggiunge, un sorriso che ti guarda, una carezza che ti attraversa. Il luogo della sofferenza è il luogo della rivelazione di chi siamo e di cosa è essenziale alla vita”. “Ci rendiamo conto – ha argomentato mons. Tisi – che le potenzialità di uno sguardo, un abbraccio sono impressionanti; valgono al pari dei farmaci più potenti”.
“Personalmente i ricordi più belli, quelli che custodisco nelle profondità del mio cuore, sono legati a queste stanze, a volti che qui ho incontrato. Penso al volto di un diciassettenne che alcuni anni fa ho accompagnato alla morte. Lui è il mio maestro, nessuno mi insegnato della vita più di quel ragazzo”. L’arcivescovo ha pregato il Signore “perché le stanze del dolore possano essere stanze di resurrezione, di affetti e di umanità ritrovata attorno all’essenziale: un abbraccio, una carezza, una lacrima asciugata. Amare ed essere amati. E chiediamo anche un’altra grazia: capire che l’amore non toglie nulla all’economia, al lavoro e alla società, ma vi mette le ali. A volte, nelle stanze dove si produce e si lavora, si pensa che in nome dell’economia si debba lasciare fuori da quelle porte la tenerezza, la misericordia, l’abbraccio e non ci si rende conto che perfino l’economia volerebbe, se vissuta dentro le stanze del voler bene. I mali che abbiamo derivano da questo rifiuto”.
Infine l’appello a guardare al Crocifisso come il “Dio dell’eccesso dell’amore”. “Mi piange il cuore – ha concluso – pensare che si passa sotto il crocifisso facendo spallucce, quando quel crocifisso rivela un Dio che nessuna filosofia o religione avrebbe mai immaginato, un Dio che è tutto condivisione, affetto, abbraccio, misericordia. Dio salvi la chiesa di Trento dal pericolo di esser Chiesa funzionale che non racconta il Dio dell’amore, salvi il popolo trentino che sta lasciando il crocifisso, pensando che non serva. In queste stanze, o c’è Lui o è solo notte”.