Colombia: vescovi su aborto dopo settimo mese di gravidanza, “ferita alla società, non garantiti i diritti del padre”

Il caso dell’aborto riguardante il piccolo chiamato Juan Sebastián dal padre Juan Pablo Medina commuove e fa discutere la Colombia e provoca la reazione della Conferenza episcopale colombiana. L’interruzione di gravidanza è stata portata a termine quando erano ormai stati superati i sette mesi di gestazione, nonostante le buone condizioni di salute del piccolo. Un intervento richiesto dalla madre per ragioni di salute, pare soprattutto di carattere psicologico, rispetto al quale il padre si è battuto con tutte le sue forze. In Colombia, fin dal 2006, l’aborto è stato depenalizzato in alcuni casi, tra cui il rischio sanitario della madre.
La Conferenza episcopale colombiana, in un comunicato firmato dal presidente, mons. Oscar Urbina Ortega, arcivescovo di Villavicencio, e da mons. Vicente Córdoba Villota, vescovo di Fontibón e presidente della Commissione episcopale per la promozione e la difesa della vita, scrive: “Oltre al dolore di sapere che Juan Sebastián già aveva superato i sette mesi di gestazione e godeva di perfetta salute, siamo contrariati per il fatto che le istituzioni di questo Paese non abbiano garantito i diritti del padre, che con insistenza e tenacia ha lottato per la vita di suo figlio”.
Prosegue la nota: “Ci uniamo alla sofferenza della famiglia di Juan Sebastián, specialmente quella dei suoi genitori, e al dolore di tanti fratelli per questo tragico gesto”. I vescovi ribadiscono che l’aborto “è un’ingiustizia che grida al cielo e una gravissima ferita alla società”. Conclude il comunicato: “Invitiamo tutto il popolo cattolico a realizzare giornate di preghiera per le vittime dell’aborto e perché in Colombia cessi ogni attentato al diritto fondamentale alla vita. Preghiamo anche per coloro che hanno dedicato la loro esistenza a proclamare e a difendere la vita”.

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