“Gesù ha visto la tenerezza di Dio in Giuseppe”, ed è stato un esempio di come “la storia della salvezza si compie attraverso le nostre debolezze”. Nella lettera apostolica “Patris Corde” in occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale Patrono della Chiesa Universale, il Papa lancia un monito: “Troppe volte pensiamo che Dio faccia affidamento solo sulla parte buona e vincente di noi, mentre in realtà la maggior parte dei suoi disegni si realizza attraverso e nonostante la nostra debolezza. Se questa è la prospettiva dell’economia della salvezza, dobbiamo imparare ad accogliere la nostra debolezza con profonda tenerezza”. “Il Maligno ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità, lo Spirito invece la porta alla luce con tenerezza”, l’esempio scelto da Francesco, secondo il quale “è la tenerezza la maniera migliore per toccare ciò che è fragile in noi. Il dito puntato e il giudizio che usiamo nei confronti degli altri molto spesso sono segno dell’incapacità di accogliere dentro di noi la nostra stessa debolezza, la nostra stessa fragilità. Solo la tenerezza ci salverà dall’opera dell’Accusatore”. Per questo” è importante incontrare la Misericordia di Dio, specie nel Sacramento della Riconciliazione, facendo un’esperienza di verità e tenerezza”. “Paradossalmente anche il Maligno può dirci la verità, ma, se lo fa, è per condannarci”, il grido d’allarme del Papa: “Noi sappiamo però che la Verità che viene da Dio non ci condanna, ma ci accoglie, ci abbraccia, ci sostiene, ci perdona. La Verità si presenta a noi sempre come il Padre misericordioso della parabola: ci viene incontro, ci ridona la dignità, ci rimette in piedi, fa festa per noi, con la motivazione che ‘questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato’”. “Anche attraverso l’angustia di Giuseppe passa la volontà di Dio, la sua storia, il suo progetto”, spiega Francesco: “Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca. A volte noi vorremmo controllare tutto, ma Lui ha sempre uno sguardo più grande”.