Il Censis li chiama “poveri all’improvviso”. Sono coloro per i quali la pandemia ha avuto conseguenze economiche repentine e devastanti. In primo piano c’è il problema del lavoro. Nel secondo trimestre dell’anno si registrano 841mila occupati in meno e 1.310 mila persone inattive in più rispetto al 2019. Aumentano del 4,8% coloro che rinunciano per scoraggiamento a cercare un lavoro. E il 17,1% della popolazione dispone di risorse finanziarie per meno di un mese. A pagare il prezzo più alto in termini occupazionali sono come sempre giovani e donne, insieme agli immigrati. Ma per l’85,8% degli italiani la crisi da Covid ha confermato che “la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no”. “Su tutti – rileva il Censis – i garantiti assoluti, i 3,2 milioni di dipendenti pubblici. A cui si aggiungono i 16 milioni di percettori di una pensione, una larga parte dei quali ha fornito un aiuto a figli e nipoti in difficoltà: un ‘silver welfare’ informale. Poi si entra nelle sabbie mobili: il settore privato senza casematte protettive”. In questa situazione segnata da paure personali e collettive, da precarietà lavorativa e incertezza economica, si prefigura un aggravamento ulteriore del problema demografico. Il rischio – sottolinea il Censis – è di avere una “generazione zero figli”. Non va tuttavia dimenticato che durante questa crisi oltre 14 milioni di italiani hanno beneficiato di sussidi per un totale superiore a 26 miliardi di euro. “È come se a un quarto della popolazione italiana – rileva il Rapporto – fossero stati trasferiti quasi 2mila euro a testa”. Ma la “bonus economy” non è in grado di costruire il futuro, tanto più che chi può tende a risparmiare in modo improduttivo: è cresciuto di 41,6 miliardi in sei mesi quello che il Censis definisce “il lago della liquidità precauzionale”.