“Lo dirò molto chiaramente: legalizzare l’aborto implica essere, come potere legislativo e come patria, contro i diritti delle persone che vivono in povertà”. Lo ha detto ieri, nel corso delle audizioni che il Parlamento argentino ha avviato all’inizio del dibattito sul disegno di legge che si propone di legalizzare l’aborto, la rappresentante di Caritas Argentina, Andrea Imbroglia. “Signori deputati e deputate, nessuno può dirci cosa pensano e vivono le donne in povertà di fronte a una gravidanza perché noi siamo presenti, materialmente nel territorio”. E “vi assicuro che chi vuole arrogarsi la loro rappresentanza e dice che le donne povere vogliono l’aborto, o non le conosce o si sbaglia. L’aborto non è una richiesta delle comunità vulnerabili. Lo affermiamo a partire dalla realtà dei territori e non sulla base di qualche ideologia, della religione o visione astratta. Dalla realtà di quei territori, le donne pensano, sentono e guardano all’aborto e a tutto ciò che lo circonda come a una grande crudeltà”.
Ha proseguito la rappresentante di Caritas Argentina: “Se il Congresso della Nazione di cui fate parte intende difendere i diritti delle persone che vivono in povertà, deve prima dare priorità e rispettare le loro vite. Sia la bambina o il bambino che nascerà, così come la loro madre”. Infatti, “la realtà umana che aspetta di nascere nel grembo delle madri è indiscutibilmente un essere umano e vulnerabile. Sono vite umane, che siano 1, 3, 14 o 20 settimane di gestazione. Sono persone, per natura, per codice genetico, e perché così lo definisce la Costituzione. Oggi ho sentito, stupefatta, dire da un funzionario, per giunta medico, che ‘non ci sono due vite qui’. Qui non c’è il tempo di spiegare questa cosa così fondamentale, però sì, nel nascituro c’è una vita umana, c’è una persona. E questo è ciò che la stragrande maggioranza dei poveri intuisce, sa e difende, non considera mai chi è nel ventre come il proprio corpo”.