“Uno che non ha pensato a farsi una casa, ma ha lavorato perché Arquata torni una casa ospitale. Non si è concentrato sul presente, ma ha cercato di anticipare il futuro”. Così mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti e amministratore apostolico “sede vacante” della diocesi di Ascoli Piceno, ha ricordato la figura di Aleandro Petrucci, sindaco di Arquata del Tronto, uno dei simboli del terremoto del Centro Italia del 2016 per le grandi battaglie condotte per la ricostruzione. Celebrandone oggi i funerali – Petrucci, malato da tempo, è morto ieri – mons. Pompili ha ripercorso la parabola umana e politica del sindaco, il suo “amore tenerissimo per la nipotina”, un uomo che ha operato “sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine. E Aleandro, in una sorta di riconoscimento bipartisan, è stato proprio così. Ha pensato al futuro e non al presente. Tantomeno al passato. Ora che non c’è più, non basta però la nostalgia”. La sua lezione di vita, ha detto mons. Pompili, “suggerisce almeno due attenzioni da coltivare nel tempo che verrà. La prima è avere uno sguardo costantemente rivolto alla ricostruzione sociale ed economica, per evitare di costruire case vuote o cattedrali nel deserto” così come “fece Aleandro quando chiese ed ottenne l’apertura della fabbrica ad Arquata per lasciare che la gente potesse vivere e non solo sopravvivere. Dobbiamo tutti lavorare perché l’Appennino sia vissuto e non osservato; sia quel che è, cioè la spina dorsale del Paese, che va collegato e non isolato dal resto della Penisola”. La seconda attenzione “è indirizzata alle nuove generazioni, sulle cui spalle viene apposto un debito importante. Sarebbe un peccato mortale – ha rimarcato l’amministratore apostolico di Ascoli Piceno – se al contempo non offrissimo gli strumenti spirituali e culturali per attraversare questa lunga marcia nel deserto”. Per far questo, ha concluso mons. Pompili, “c’è bisogno di padri come Aleandro che hanno fatto della libertà da se stessi il marchio di fabbrica”.