“Natale è nostalgia della nascita. Non solo dell’inizio della vita, ma di quell’età in cui la meraviglia del mondo sta davanti agli occhi del bimbo col suo mistero luminoso. È impulso a ritornare all’origine di se stessi. Soprattutto in questo momento di smarrimento e incertezza. Anzi è desiderio di mettersi a sognare un futuro di speranza. La parola che illumina il cielo ancora buio è rinascere”. Lo afferma il vescovo di Novara, mons. Franco Giulio Brambilla, nell’augurio natalizio pubblicato sul sito web della Stampa diocesana novarese.
Il vescovo con la memoria va indietro di 60 anni, al Natale 1960 e alla voce dell’allora arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini, che accompagnava chi si trovava davanti al presepe in parrocchia: “Uomo d’oggi! Io ho un messaggio per te! Mi vuoi ascoltare un momento?”. “Il nostro secolo – osserva Brambilla – è iniziato sotto il segno tragico delle Torri Gemelle e termina il suo secondo decennio con il drammatico stop della pandemia”. “Se Montini era preoccupato e pensoso perché il benessere che gli italiani stavano costruendo non smarrisse il senso di Dio e lo spiritualità dell’uomo, oggi possiamo dire: anche la rinascita che ci sta davanti ha bisogno di un supplemento d’anima”, prosegue il vescovo, che prova a spiegare “che significa rinascere”. E, ancora ispirandosi Montini, il vescovo afferma che “rinascere è prima di tutto sentire che noi siamo esseri fragili e tuttavia generativi, esseri mortali ed esseri natali”. Inoltre, “rinascere è risvegliare il nostro desiderio di felicità, o forse meglio di eternità”. “Rinascere, infine, è essere testimoni di un messaggio in parole ed opere”, continua Brambilla, richiamando le parole del Natale: “Non aver paura! (questa è la prima parola: non aver paura!). Ecco: io vi porto una buona novella, che sarà di grande gioia per tutto il popolo. Oggi vi è nato… il Salvatore, che è Cristo Signore!”. A cui si accompagnano “le opere che generano creatività e responsabilità per il futuro prossimo”. “Non diciamo ‘dopo non sarà più come prima’”, l’esortazione del vescovo: “Dopo sarà diverso da prima”, ammonisce, “solo se saremo uomini e donne natali, che sognano di rimettere al centro la vita della città, il noi al posto dell’io, la prossimità invece della competizione, la fiducia invece del sospetto, la parola edificante invece della maldicenza, i beni comuni invece dell’accaparramento di pochi, la forza della speranza invece che il contagio della depressione”.