“La cura è la risposta a problemi che, sempre più spesso, risolviamo invece con lo scarto. È l’unica risposta, la cura, al dramma mondiale della pandemia e delle sue conseguenze”: è quanto si legge nel Messaggio di Natale dell’arcivescovo ordinario militare per l’Italia (Omi), mons. Santo Marcianò, intitolato “Un Bambino che ci cura”, diffuso oggi dall’arcidiocesi castrense. Riferendosi a due documenti di Papa Francesco, il Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2021 e alla lettera Patris Corde, dedicata a san Giuseppe, mons. Marcianò ribadisce che la cura “è la risposta alla sofferenza e alla malattia, il cui mistero è violato dalla cultura eutanasica; alla vita dei bambini, uccisi nel grembo materno o sporcati nella loro innocenza; alla disperazione dei profughi e migranti o dei poveri e affamati dimenticati; ai conflitti interpersonali, familiari e mondiali, germe nascosto di odi e guerre; alle varie forme di ingiustizia sociale, politica, retributiva o all’illegalità che sfocia nella criminalità; a ogni deturpamento del creato e della dignità umana”. La cura è “l’unica risposta al dramma mondiale della pandemia e delle sue conseguenze! Eppure – aggiunge – ci trafigge il cuore pensare come sia stata proprio questa pandemia a togliere la possibilità di prenderci cura. A farci sentire, quando ormai era troppo tardi, la solitudine dei tanti abbracci non dati ai nostri anziani abbandonati nelle Rsa, dei tanti sguardi di tenerezza sostituiti con lamenti dinanzi ai malati, della superficialità che svuota di sacro quegli ultimi respiri di vita che, ora, avremmo voluto accompagnare nei nostri cari, del consumismo che troppe vite considera un peso”. Da qui l’esortazione dell’arcivescovo castrense a considerare “il mistero della salvezza, il mistero del Natale, intreccio di cura”.
“Dio sceglie di nascere Bambino – dice mons. Marcianò – per dire che ogni bambino, ogni persona umana, soprattutto la più piccola e fragile, ha bisogno di cura, ha diritto alla cura! Per dire che prendersi cura è possibile sempre, anche davanti alle situazioni più drammatiche e incurabili”. Nella parola “cura”, ha concluso il presule, “convergono gesti concreti di accoglienza, condivisione, solidarietà; di conversione, guarigione e speranza; di dedizione e amore, fino al dono della vita, molti dei quali hanno illuminato e illuminano il buio della pandemia che ha avvolto in questo anno l’umanità. Con gratitudine commossa, penso a tanti di voi che ne sono stati autori: professionisti o gente comune, lavoratori o padri e madri di famiglia, giovani e anziani, militari delle nostre Forze armate”.