Una variante del Sars-Cov2 “probabilmente non più grave” ma con una “gravità indiretta” legata alla sua maggiore facilità di trasmissione. A delineare al Sir il nuovo scenario aperto dalla mutazione del virus diffusasi a Londra e nel sud del Regno Unito e ieri isolata anche in Italia, nei laboratori dell’Ospedale militare del Celio di Roma dove è ricoverata una paziente positiva a questa nuova variante, è Roberto Cauda, ordinario di malattie infettive all’Università Cattolica e direttore dell’Unità di malattie infettive del Policlinico Gemelli di Roma.
“Questa variante inglese, denominata B117 – spiega –, è probabilmente emersa nelle ultime quattro settimane, ma non è la prima volta che un virus fa delle mutazioni”. “Alcune mutazioni del Sars-Cov2 sono giù avvenute e sono tutte presenti in una banca dati. Per la maggior parte non colpiscono componenti importanti del virus, sono transitorie e tendono a scomparire; alcune invece, come quella segnalata la scorsa primavera in Italia dal gruppo del professor Massimo Ciccozzi in uno studio al quale ho partecipato anch’io, la cosiddetta D614G, è poi stata segnalata anche in Spagna, in altri Paesi europei e negli Stati Uniti ed è una mutazione presente nel nuovo ceppo inglese”. “In questa nuova variante – prosegue il professore – le mutazioni sono avvenute nella proteina Spike e questo può spiegare la maggiore contagiosità con un aumento dell’indice di trasmissione Rt di 0,4 il che porterebbe ad una contagiosità del 70% più elevata rispetto al virus finora dominante”.
Per quanto riguarda la gravità clinica, Cauda spiega che “segnalazioni, però ancora singole, sembrerebbero escludere una maggiore gravità della malattia anche se questo è un elemento che andrà verificato e studiato”. Non si tratta comunque di “una variante da poco”. Se di per sé sembra meno aggressiva, “a causa della maggiore rapidità di trasmissione – avverte l’esperto – potrebbero aumentare i contagi e potrebbe così manifestarsi una forma di ‘gravità indiretta’ legata, con l’ampliamento della platea dei contagiati, all’aumento del numero di pazienti fragili che – conclude – potrebbero andare incontro a forme gravi”.