I campi dei profughi eritrei nel Tigrai, che ospitano circa 96mila persone, hanno subito gli effetti dell’azione militare portata avanti dal governo centrale dell’Etiopia. L’agenzia Habeshia riferisce oggi di 3 morti (non accertati) e teme 6mila rimpatri forzati ad Asmara. I profughi eritrei vivono da anni in quattro grandi centri di raccolta, gestiti dall’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), situati a Adi Harush, Mai Aini, Hitsats e Shimelba. “Lo sconvolgimento portato dalla guerra – lancia l’allarme l’agenzia Habeshia di padre Mussie Zerai – rischia adesso di far saltare questo fragile equilibrio e, peggio, anche ogni forma di protezione”. I combattimenti fortunatamente non li hanno colpiti direttamente ma “ad Adi Harush risulta che tre giovani siano stati uccisi da una raffica di schegge durante un pesante bombardamento sull’area limitrofa al campo”. Due sono le minacce temute: “Il rischio di deportazione forzata in Eritrea e la difficoltà di sussistenza a causa della brusca interruzione di tutte le forme di assistenza e rifornimento anche dei beni più indispensabili”. Nel campo di Shimelba, in particolare, a 30 km dalla frontiera con l’Eritrea, “circolano da giorni notizie che circa 6mila profughi sarebbero stati bloccati all’interno o nei dintorni del centro di accoglienza e rimpatriati in stato d’arresto da parte di reparti militari eritrei entrati in territorio tigrino, come alleati dell’esercito federale etiopico”. In questo modo rischiano di diventare dei “desaparecidos” “perché tutti i registri dell’Unhcr sarebbero stati distrutti, in modo da non lasciare traccia degli ospiti del campo o comunque da rendere estremamente difficili le ricerche”. Al momento, precisa Habeshia, vista l’interruzione delle reti telefoniche ed internet e il divieto di ingresso nel Tigrai a giornalisti e organizzazioni umanitarie “non è stato possibile finora verificare se queste notizie abbiano fondamento”. A fronte di tutto ciò l’agenzia Habeshia chiede, tra l’altro, di “organizzare canali umanitari che consentano il trasferimento verso altri Stati delle migliaia di profughi che si sono trovati loro malgrado coinvolti nella guerra” e di “riaprire subito le frontiere del Tigrai agli aiuti umanitari”.