Cinquecento pacchi alimentari consegnati entro Natale. La sede del Gruppo Abele di corso Trapani 91/b è dal 3 dicembre uno dei punti di snodo e di distribuzione di Torino Solidale, la rete di sostegno per le famiglie in disagio economico che vede Città di Torino e diverse realtà già mobilitate per l’emergenza (come Case del Quartiere, Arci, Sermig) lavorare insieme affinché nessuno in città si senta solo o venga lasciato indietro in questo momento difficile.
Un impegno, sottolinea una nota, che rappresenta il naturale sbocco della distribuzione di aiuti alimentari – prima a domicilio e poi con ritiro in sede – avviata dal Gruppo già dal 14 aprile, in pieno lockdown, e che ha coinvolto 42 famiglie del territorio cittadino, tutte straniere e con gravi problemi economici, ulteriormente acuiti dalla pandemia.
“Abbiamo fin dall’inizio risposto ai bisogni di molte delle famiglie che frequentano abitualmente le nostre attività – racconta Lucia Bianco, responsabile del progetto Genitori&Figli del Gruppo Abele che si occupa della distribuzione -. Una distribuzione che non voleva allora e non vuole essere ora una forma di assistenzialismo, ma una vicinanza reale, materiale oltre che emotiva, a nuclei che vivevano e vivono l’emergenza Covid come una reclusione, in case piccole, in preda all’incertezza e alle paure. Perché quando vivi con poco, di lavori occasionali e sei sempre in equilibrio precario, basta un niente per finire nel baratro della povertà assoluta: figuriamoci una pandemia”.
Sono storie di disperazione ma anche di speranza, quelle raccolte dal Gruppo Abele in questi mesi, storie di adulti ma soprattutto di bambini con esigui spazi vitali a disposizione e pochissimo o nessun accesso alla didattica a distanza. Storie come quella di Maryem, mamma di Yahya, barricata in casa da febbraio, e che Paola, educatrice del Gruppo Abele, ha convinto solo mesi dopo ad affacciarsi sul marciapiede.
Nei pacchi di sostegno c’erano anche giochi, materiale di cancelleria e qualche libro. “Ci siamo accorti subito – continua Bianco – che la pandemia, ben lontano dal farci tutti uguali, stava facendo esplodere le differenze sociali e che se per alcune fasce più garantite dal punto di vista economico il restare a casa rappresentava davvero una protezione, per altre diventava una sorta di condanna. Sui bambini questo era ancora più chiaro, perché abbiamo avuto modo di constatare che il percorso educativo per molti s’è interrotto dal giorno stesso della chiusura delle scuole, con tutte le conseguenze in termini di integrazione che questo comporta”.